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Hong Kong, in coda per comprare l'Apple Daily. E sugli arresti è scontro Washington-Pechino

Boom di acquisti. Gli Usa: "Liberate i giornalisti". La Cina: "Non vi riguarda"

Hong Kong, in coda per comprare l'Apple Daily. E sugli arresti è scontro Washington-Pechino

Hong Kong ha sete di libertà, anche di stampa. E se l'altro ieri la polizia, su ordine di Pechino, ha effettuato un'incursione nella redazione del quotidiano Apple Daily, arrestando cinque persone tra giornalisti e vertici della testata, venerdì le copie del tabloid pro-democrazia sono andate letteralmente a ruba nonostante le 500mila copie finite nelle edicole invece delle tradizionali 80mila. Gli abitanti dell'ex colonia britannica hanno espresso in questo modo la loro solidarietà nei confronti del direttore Ryan Law e dei vertici dell'editrice Next Digital, protestando per l'azione spettacolarizzata (500 gli agenti impiegati nel blitz) che mette a rischio la libertà di stampa, segmento di un'indagine per verificare se alcuni articoli rappresentassero una minaccia per la sicurezza nazionale cinese.

L'Apple Daily non è Charlie Hebdo (acquistato in 3 milioni copie la settimana dopo l'attentato), non ha un taglio satirico, e la lettura rappresenta per gli abitanti di Hong Kong una voce libera contro le oppressioni della Cina. Fondato nel 1995 da Jimmy Lai, in carcere dal 2020 dopo un'altra «retata» di redazione, è costruito attorno a interventi a favore della democrazia a pettegolezzi sulle celebrità e sulle indagini contro coloro che sono al potere. La polizia, oltre ai 5 arresti, ha sequestrato beni collegati alla Next Digital per quasi 2,5 milioni di dollari. L'intento di Pechino è chiaro: non soltanto mettere il bavaglio al quotidiano ma creare anche un corto circuito economico che possa provocarne la chiusura. Nel fondo in prima pagina l'Apple Daily punta il dito contro Pechino, accusando Xi Jinping di voler colpire la stampa, «per una farneticante legge sulla sicurezza nazionale. La loro è una risposta alle proteste democratiche del 2019».

Gli arresti sono stati duramente criticati dalla comunità internazionale. Il dipartimento di Stato americano ha chiesto pubblicamente alle autorità di Hong Kong di fermare la repressione dei media. Il portavoce Ned Price afferma che «i tentativi di soffocare la libertà di stampa, e restringere il libero flusso di informazioni, non solo minano le istituzioni democratiche di Hong Kong ma anche la credibilità del Paese su scala mondiale». Una decisa condanna è arrivata anche dai 27 dell'Ue e dalla Gran Bretagna, che all'unisono accusano Pechino «di usare leggi ad hoc per reprimere il dissenso, ma non muovono un solo dito per occuparsi della sicurezza pubblica».

Ma la Cina, come da copione, invita i Paesi e i media occidentali a smettere di «minare lo stato di diritto di Hong Kong con il pretesto della libertà di stampa» e di interferire con gli «affari interni del Paese».

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