I 90 anni del Dalai Lama che sceglie il successore (ma Pechino non ci sta)

La Cina rivendica il potere di nomina. Secco no dei buddhisti

I 90 anni del Dalai Lama che sceglie il successore (ma Pechino non ci sta)
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Decideranno solo i buddhisti. No, l'ultima parola spetterà al governo centrale di Pechino. È scontro politico sul futuro del Dalai Lama, dopo che Tenzin Gyatso, 14° e attuale, in vista del suo 90° compleanno ha detto che non sarebbe stato l'ultimo leader buddhista tibetano e che la tradizione sarebbe continuata anche dopo la sua morte, con la scelta di una figura da effettuare fuori dall'influenza del Partito Comunista cinese. Passaggio che ha sollevato la reazione dell'esecutivo di Xi Jinping, secondo cui il successore andrà approvato "dal governo centrale" come dichiarato dalla portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, all'interno di un processo che deve "seguire i rituali religiosi e il contesto storico, ed essere gestito in conformità con le leggi e i regolamenti nazionali". Come è noto Pechino considera il Dalai Lama alla stregua di un separatista e punta a esercitare più di una moral suasion nei confronti della comunità tibetana, nata 600 anni fa e ancora fortissimo simbolo di non violenza e lotta per l'identità culturale tibetana contro il dominio cinese. Lo stesso Dalai Lama assieme a migliaia di tibetani vivono in esilio in India da quando le truppe cinesi nel 1959 hanno represso una rivolta nella capitale Lhasa.

"Il governo cinese ha precisato Mao - attua una politica di libertà di credo religioso, ma esistono norme sugli affari religiosi e metodi per gestire la reincarnazione dei Buddha viventi tibetani". Questi ultimi considerano il loro attuale leader spirituale la 14a reincarnazione del Dalai Lama che in vista del suo compleanno, il 6 luglio, ha dichiarato di aver ricevuto negli ultimi 14 anni molteplici appelli dalla diaspora tibetana in esilio, provenienti da buddisti di tutta la regione himalayana, dalla Mongolia e da parti della Russia e della Cina, "che chiedevano con insistenza che l'istituzione del Dalai Lama continuasse".

I cinesi guardano con timore alla successione perché rappresenta un potenziale focolaio di conflitti, una sorta di piccone contro il dogma del Partito Comunista Cinese che teme non poco una figura come la guida spirituale del Tibet. Per questa ragione puntano a mostrare al mondo la propria capacità di persuasione anche in ambito religioso. Ma il diretto interessato non si fa intimorire e insiste specificando che la responsabilità dell'identificazione del 15° Dalai Lama sarà di "esclusiva competenza" del Gaden Phodrang Trust, l'ufficio del Dalai Lama con sede in India, "nessun altro ha la stessa autorità per interferire in questa questione".

Nel frattempo centinaia di seguaci si stanno radunando per ascoltare l'attesissimo annuncio che verrà pronunciato nella città indiana di Dharamshala, dove vive e dove fra tre giorni celebrerà il compleanno.

Il timore di una parte di loro (e anche dei governi occidentali) è che si possa verificare uno scenario geopolitico alquanto surreale, con in campo due Dalai Lama: uno nominato dal Gaden Phodrang Trust e l'altro da Pechino.

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