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I dati smentiscono il premier: Meridione rovinato dallo Stato

La denuncia sui preconcetti verso il Mezzogiorno ignora i danni creati dalla spesa pubblica. Reati legati ai fondi

I dati smentiscono il premier: Meridione rovinato dallo Stato

Intervenendo a Sorrento per illustrare gli stanziamenti al Sud previsti dal Pnrr, il premier Mario Draghi ha sostenuto che «l'evoluzione delle politiche pubbliche per il Meridione è spesso rappresentata come una successione di inevitabili sprechi e fallimenti. La storia economica del Sud nel Secondo Dopoguerra è però più complessa di come raccontano questi pigri pregiudizi».

Quanto Draghi ha detto è grave e non promette nulla di buono, poiché da analisi sbagliate non possono venire soluzioni adeguate. E se il presidente del Consiglio nega che i pregiudizi universalmente accettati sul disastro economico del meridionalismo siano giustificati da un fallimento ormai certificato, è assurdo aspettarsi che le iniziative attuali possano essere all'altezza. E infatti non lo sono, dato che replicano interventi d'impronta statalista, ignorando che si deve ridurre la sfera d'intervento pubblico, liberalizzare il mercato del lavoro, ridurre i posti pubblici, operare una piena autonomia fiscale e di bilancio.

Per giunta, parlare di «pigri pregiudizi» significa ignorare l'ampia letteratura che evidenzia la devastazione causata dall'azione dello Stato. E se negli scorsi anni il potere d'acquisto pro capite dei paesi dell'Est ha superato quello delle nostre regioni meridionali, questo si deve essenzialmente al fatto che là hanno individuato la giusta strada verso la crescita, mentre il Sud è rimasto intrappolato nella dipendenza da una ricchezza prodotta altrove.

In un volume uscito tre anni fa e significativamente intitolato Morire di aiuti. I fallimenti delle politiche per il Sud (e come evitarli), i due economisti Antonio Accetturo e Guido De Blasio hanno evidenziato come nel caso del Mezzogiorno scelte politiche giustificate da «buone intenzioni» si siano rivelate disastrose. Ad esempio, nella loro ricerca essi hanno rilevato che «esiste una correlazione tra i fondi strutturali che un comune riceve e gli episodi di corruzione segnalati nell'archivio Sdi (Sistema di indagine delle autorità di pubblica sicurezza italiane), e che questa correlazione sopravvive se si controlla il ciclo economico e quello politico locale». In sostanza, in tante circostanze è legittimo ritenere che sia la spesa pubblica ad alimentare la criminalità, abile a intercettare questi fondi e a vivere all'ombra della politica.

Draghi può sostenere quello che vuole, ma i dati sono eloquenti. Non c'è nulla di ideologico, d'altra parte, nel constatare che la retribuzione media di quanti stanno a Ragusa è di circa un terzo inferiore a quella di chi sta a Bolzano. Come di recente ha sostenuto Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, «l'economia meridionale negli ultimi vent'anni ha visto crescere sempre più il proprio divario rispetto al resto del Paese». Un dato particolarmente eloquente, tra gli altri, è quello sul tasso di occupazione, dato che nell'Italia del Nord-Est il tasso di occupazione è del 67,5%, mentre al Sud è del 44,6% e nelle isole addirittura del 43,7%.

Di fronte a simili cifre, il pigro pregiudizio è proprio quello di chi continua a illudersi che spesa pubblica e burocrazia di Stato possano offrire al Sud un futuro diverso, mentre il Mezzogiorno ha bisogno più di tutto che questi rubinetti si chiudano.

Il guaio è che Draghi ha usato un simile linguaggio volto quasi a minimizzare una situazione economica vicina al collasso per giustificare l'ennesimo irresponsabile progetto volto a trasferire al Sud risorse prodotte altrove, senza voler prendere atto che quei finanziamenti non sono un farmaco, ma semmai un veleno.

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