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"I gilet gialli? Figli del disastro Hollande-Macron. Protagonisti della più grande rivolta moderna"

Il politologo: "Il loro è il più duraturo movimento sociale dalla fine della guerra"

"I gilet gialli? Figli del disastro Hollande-Macron. Protagonisti della più grande rivolta moderna"

«Rappresentano la prima ribellione di massa di una società uberizzata, cioè basata su un modello di lavoro flessibile e a tempo parziale, in stile Uber, l'azienda di trasporto auto. E sono il simbolo di un rigetto radicale della democrazia rappresentativa». A quattro mesi dal primo sabato della rabbia e a due giorni dalla grande manifestazione del 16 marzo, Philippe Marlière, politologo francese, docente all'University College di Londra, traccia l'identikit dei gilet gialli.

Chi sono?

«Cominciamo da quello che non sono. Non sono i più poveri della società, non sono le minoranze etniche, non sono gli immigrati. Non hanno un passato politico, non arrivano dai sindacati».

Come descriverli allora?

«Sono prevalentemente francesi bianchi, di mezza età, che hanno un impiego ma sentono il peso del precariato, che hanno paura dell'avvenire dei loro bambini, del rischio di una regressione sociale che si palesa ogni 20 del mese, quando i soldi non bastano».

Figli dell'incertezza economica?

«Sì, lottano per mantenere un livello di vita medio, non per uscire dalla povertà. Non abitano nelle grandi città ma nelle città medie e nelle campagne. E tra loro ci sono molte donne e molte leader donne, perché sono le più toccate dalla flessibilità del lavoro, dai lavori a tempo parziale e dai salari bassi».

Sono di destra o di sinistra?

«È molto complicato inquadrarli. Se si analizzano le rivendicazioni su salari, servizi pubblici, progressività d'imposta, possiamo concludere che hanno preoccupazioni sociali di sinistra, anche se loro rigettano entrambe, destra e sinistra».

Sono l'espressione della dicotomia popolo-élite? Del fallimento della politica tradizionale?

«Con loto la Francia sta attraversando una sorta di momento di verità. Le politiche neoliberiste di Hollande sono state catastrofiche e hanno disgustato anche l'elettorato di sinistra. Macron continua nella stessa direzione ma in maniera più brutale, con lui la dicotomia élite/popolo si è fatta più estrema. Perciò la gente è esplosa».

Li ha definiti il principale movimento della storia contemporanea di Francia? Perché?

«Chiamarli così è addirittura un eufemismo. Per spiegarlo ci sono vari fattori. La mobilitazione di massa, sui social network e per le strade. La perseveranza: la rabbia dura da 17 settimane. È il più duraturo movimento sociale dalla fine della Guerra mondiale».

Cos'altro li caratterizza?

«L'originalità. Le proteste del passato erano dirette dai sindacati e poi raggiunte dai partiti politici. Questo movimento si caratterizza invece per la spontaneità, oltre un milione di follower su Facebook. E chi lo compone non ha un passato politico e non necessariamente vuole avere un futuro politico. Si tratta di una forza che vuole strappare conquiste senza passare per i rappresentanti tradizionali».

Eppure qualcuno sta pensando di entrare nell'arena politica già alle prossime europee.

«Tutti quelli che finora ci hanno provato, però, sono stati rifiutati dall'ala più ampia del movimento. I più conosciuti mediaticamente hanno rigettato l'ipotesi dell'ingresso in politica. Perché rigettano la democrazia rappresentativa, non credono più al meccanismo per cui si delega il potere a rappresentanti eletti che fanno da intermediari»

La violenza che ha segnato le proteste non rischia di far perdere consensi ai gilet gialli?

«Non è vero che la violenza caratterizza il movimento, che nell'insieme è pacifico. Certo, c'è qualche virata estrema, qualche atto caratterizzato da brutalità, come nel caso degli insulti al filosofo Finkielkraut. Ma quei gilet sono una parte minoritaria. Al contrario c'è una folta documentazione che dimostra gli eccessi della polizia».

Per questo l'Onu ha chiesto un'inchiesta sull'uso eccessivo della forza?

«Nel caso dei gilet gialli la polizia è stata più brutale del solito. C'è chi ha perso un occhio, chi è stato picchiato violentemente. E quando si arriva a questo punto è perché ci sono direttive politiche.

Ma così si aggiunge tensione invece che lavorare per una distensione».

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