E alla fine anche al Quirinale la «preoccupazione» ha toccato il livello di guardia: sta arrivando la seconda ondata e l'Italia è in ritardo. Appelli, telefonate, interventi diretti, Sergio Mattarella le sta provando davvero tutte. «La tutela della salute è il metro di civiltà delle economie», ha scritto sabato in un messaggio sperando di scuotere il governo. Servono, adesso, soldi per gli ospedali: in attesa dei tempi lunghi del Recovery Fund si potrebbero usare quelli pronti del Meccanismo di stabilità, ma niente, Giuseppe Conte da questo orecchio non ci sente. E mentre Palazzo Chigi si avvita in tante belle riunioni e la politica è congelata ai attesa degli Stati generali grillini d'inizio novembre, si rischia la catastrofe. Stefano Bonaccini è infuriato. «Che cosa deve ancora succedere per comprendere che occorrerebbero subito per la sanità pubblica i 36 miliardi di euro del Mes?», sbotta su Twitter il presidente dell'Emilia Romagna e della conferenza Stato-Regioni. Subito, precisa, non dopo il congresso di M5s. «Ora».
Oggi tornerà a riunirsi la cabina di regia e i governatori daranno battaglia. Si parlerà delle misure del prossimo decreto, di concertazione, di trasporti, scuola, sport, matrimoni, tracciamenti, tamponi. Ma il piatto forte, come anticipa lo sfogo di Bonaccini, sarà proprio il Mes. Destra e sinistra, nord e sud, lo schieramento dei presidenti è trasversale e quasi unanime: vogliono quei 36 miliardi stanziati dall'Unione Europea per usarli nei loro ospedali, potenziando le terapie intensive, assumendo medici e infermieri, comprando i kit dei test. Si potevano chiedere già a giugno, oggi sarebbero disponibili, invece è andata in un altro modo. Il Recovery è stato rallentato dal braccio di ferro a Bruxelles sul bilancio comunitario, ed quasi un colpo di fortuna: infatti noi, a differenza di Francia e altri, non siamo pronti perché Palazzo Chigi, nonostante commissioni e vertici, non ha ancora preparato il piano di sviluppo e investimenti. E sul Mes, che poteva essere almeno il piano B, grava tuttora il veto dei Cinque stelle, azionista di maggioranza del governo. Contrario pure Conte, che non vuole essere il primo ad attingere al Meccanismo.
Una battaglia di bandiera, forse una delle ultime del Movimento, eppure Luigi Di Maio sostiene che non si tratta di una «questione ideologica ma pratica». Pratica? Che cosa c'è di più pratico che finanziarsi a interesse vicino a zero con un sussidio per la sanità già stanziato? «Come il presidente del Consiglio, penso che l'obbiettivo sia il Recovery Fund, dobbiamo puntare a quello. Ci sono Paesi che hanno una sanità peggiore della nostra è non hanno chiesto il Mes». Speriamo quindi che qualcuno ceda presto: occhi puntati sullo spagnolo Sanchez.
Intanto, spiega a Mezz'ora in più su Rai 3 il ministro degli Esteri, dal punto di vista economico l'Italia sta reggendo e non ha bisogno urgente di soldi. «Al momento non abbiamo una situazione di bilancio di emergenza, possiamo attingere da varie forme di risorse anche dalla legge finanziaria che approveremo. Poi abbiamo una condizione di mercati buona e una scelta coraggiosa come il Recovery. Possiamo avere delle disfunzioni ma siamo un Paese attrezzato».
Attrezzato? Neanche per sogno, il governo è come al solito «in ritardo e in balia degli eventi», commenta Mariastella Gelmini, capogruppo Forza Italia alla Camera.
«La seconda ondata era stra-annunciata. Se avessimo attivato il Mes a giugno, la sanità ne avrebbe beneficiato. Serviva poi una diffusione capillare dei vaccini anti-influenzali e test rapidi. Le famiglie aspettano 12 ore per un tampone, inaccettabile».
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