«Chi parte dalla Libia non è un rifugiato». Parola di Matteo Salvini. La crisi libica mette drammaticamente a nudo l'inadeguatezza dell'esecutivo gialloverde che non ha una linea comune sulle misure per fronteggiare l'emergenza. Di fronte all'escalation degli scontri a Tripoli, all'interno dell'esecutivo si consuma l'ennesimo scontro a distanza tra il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, che tuona «i porti restano sigillati» e quello dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio che invoca l'intervento dell'Europa e rimprovera al leader del Carroccio le sue amicizie sovraniste: «gli alleati della Lega devono cambiare atteggiamento nei confronti del nostro Paese» attacca il vicepremier grillino. La temperatura al Viminale comincia ad alzarsi quando Di Maio, inizia a fare le pulci alle scelte del leader del Carroccio definendo la chiusura dei porti «una misura occasionale» aggiungendo pure una stoccata a Salvini rispetto alle scelte dei suoi alleati in Europa. «È troppo facile fare i sovranisti con le frontiere italiane. Non ci si può lamentare dei migranti se poi si stringono accordi con le stesse forze politiche che ci voltano le spalle», attacca Di Maio. La risposta di Salvini non si fa attendere. «Rispetto il lavoro del collega Di Maio che si occupa di lavoro e sviluppo economico - dice Salvini -. Chiedo altrettanto rispetto: di ordine, di sicurezza e confini me ne occupo io. Finché sarò ministro, i porti restano sigillati per i trafficanti di esseri umani». I toni usati da Salvini sono un errore insiste Di Maio perché «possono essere causa indiretta di ulteriore instabilità».
Ed è il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta ricordare a Salvini che in Libia «se si dovesse arrivare alla guerra, non avremmo migranti ma rifugiati. E i rifugiati devono essere accolti» ed è dunque necessario che «qualcuno si concentri molto di più sulla sicurezza del Paese» aggiunge la Trenta, alludendo all'allarme sul possibile arrivo di terroristi lanciato dallo stesso Serraj. Ma Salvini non arretra. La tesi è quella di sempre: non è vero che «chiunque parta dalla Libia sia un rifugiato. No, non con me come ministro dell'Interno». Insomma finché al Viminale ci sarà il leader del Carroccio i migranti non saranno mai considerati profughi.
All'interno dei Cinquestelle si fa notare come sia «curiosa la posizione del ministro dell'Interno» perché «quando teme di essere processato dice che le cose si fanno insieme, quando invece è in campagna elettorale dice che decide da solo sui porti», battuta che suona minacciosa visto che lo stesso Salvini ha appena annunciato di essere nuovamente indagato questa volta per la vicenda della Sea Watch.
In mezzo nel tentativo di mediare come al solito il premier Giuseppe Conte che ieri ha incontrato il vicepresidente del Consiglio del governo di riconciliazione nazionale libico, Ahmed Maitig, che oggi vedrà anche Salvini. Conte chiede il cessate il fuoco e invita gli alleati di governo a lavorare uniti per una soluzione pacifica: «adesso non è il momento di dividerci ma di lavorare insieme concretamente». Intanto il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani annuncia che oggi si affronterà la questione libica.
«Spero che gli Stati europei parlino con una voce sola - osserva Tajani - Chiedo a Italia e Francia di chiudere la stagione del braccio di ferro e arrivare a una soluzione per stabilizzare la Libia». La crisi preoccupa pure Angela Merkel che chiede il rispetto dei diritti umani dei rifugiati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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