I pm e la fissa di Scafarto: "Inchiodare papà Renzi"

Caso Consip, toghe durissime sul capitano e sul suo ritorno in servizio: «Voleva arrestare Tiziano»

I pm e la fissa di Scafarto: "Inchiodare papà Renzi"

Altro che errori «involontari», quelli commessi da Gianpaolo Scafarto, l'ex capitano del Noe accusato di aver falsificato un'informativa del caso Consip, sono «orrori» di sicuro rilievo penale che avevano come obiettivo quello di «inchiodare Tiziano Renzi alle sue responsabilità» fino ad arrivare eventualmente ad arrestarlo.

La Procura di Roma risponde così, con un durissimo ricorso in Cassazione di quindici pagine, all'ordinanza con la quale lo scorso 27 marzo il Tribunale del Riesame ha annullato la sospensione dal servizio per un anno, disposta dal gip Gaspare Sturzo, del carabiniere del nucleo investigativo preferito dal pm partenopeo Henry John Woodcock, il Noe, al quale i magistrati della capitale - che hanno ereditato dalla Procura di Napoli il fascicolo sugli appalti della centrale acquisti della pubblica amministrazione - hanno invece tolto la delega d'indagine in seguito alle ripetute violazioni del segreto. Quell'ordinanza, che di fatto ha restituito gradi e divisa a Scafarto, per il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi costituisce «una palese violazione del diritto penale, delle regole processuali che governano la prova indiziaria, di travisamento dell'ipotesi di accusa e dei fatti posti a suo fondamento». La Procura ritiene che il provvedimento che ha riabilitato l'ex capitano del Noe - indagato per falso in atto pubblico, rivelazione del segreto d'ufficio e depistaggio - si contrapponga addirittura «alle regole del diritto sostanziale e processuale, della logica e del buonsenso».

Quelli che il Riesame ha considerato «errori involontari che l'esperienza giudiziaria permette di riscontrare quotidianamente nelle informative di pg» - come in questo caso l'attribuzione di una frase pronunciata dall'ex parlamentare Italo Bocchino all'imprenditore napoletano Alfredo Romeo proprio per incastrare babbo Renzi - per i magistrati sono state invece azioni dolose mirate a «moltiplicare gli indizi» nei confronti del papà dell'ex premier, già indagato per traffico di influenze. Come emergerebbe chiaramente non solo dai messaggi whatsapp trovati nel cellulare del carabiniere ma anche dalle conclusioni delle informative da lui redatte, in particolare in quelle del 9 gennaio 2017 e del 3 febbraio successivo, sul presunto incontro segreto a cena in una «bettola» romana tra Tiziano Renzi e Romeo per parlare di affari, riferito da Alfredo Mazzei, commercialista napoletano ed esponente del Pd. I magistrati della capitale le citano per evidenziare quanto l'attività investigativa di Scafarto fosse concentrata sul papà dell'ex presidente del Consiglio.

«Le dichiarazioni di Mazzei sono di straordinaria valenza - scriveva l'ufficiale dell'Arma - in quanto consentono di chiudere il cerchio su Renzi e su Carlo Russo (imprenditore di Scandicci, amico di papà Renzi, ndr), nel senso che consentono di affermare che Russo non sia un millantatore ma al contrario egli avesse la possibilità di affrontare ed influire nell'assegnazione dei lotti Consip e soprattutto che egli agisca in nome di Tiziano Renzi, la cui compartecipazione in tutte le dinamiche prospettate da Romeo, a questo punto, appare oltre che scontata imprescindibile...».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica