I pm di Milano ancora a mani vuote sul Russiagate

L'accusa di corruzione internazionale non tocca il leader leghista né gli interlocutori russi

I pm di Milano ancora a mani vuote sul Russiagate

Milano È una richiesta di routine, una di quelle che i pubblici ministeri trasmettono in genere ai giudici su moduli prestampati: vista la complessità dell'indagine, eccetera eccetera, si chiede una proroga di altri sei mesi. E così accade anche per la richiesta della Procura di Milano di proseguire le indagini sul famoso incontro all'Hotel Metropole tra tre russi e tre italiani, tra cui il fiduciario di Matteo Salvini a Mosca, Gianluca Savoini. Scontata la richiesta, scontata - anche se finora non ufficialmente pervenuta - l'autorizzazione del giudice. Al punto che gli avvocati difensori non avrebbero neanche inviato, come il codice consentirebbe, memorie difensive per opporsi alla proroga.

Eppure l'atto notificato nei giorni scorsi alle difese racconta comunque qualcosa di eloquente. Perché nell'atto notificato alle difese viene indicato il reato per cui si procede, ovvero la corruzione internazionale. E vengono indicati anche i nomi degli indagati. Così si scopre che, a sei mesi dall'apertura dell'inchiesta, gli unici indagati continuano ad essere i tre già finiti sui giornali: Gianluca Savoini, il primo ad essere individuato dopo gli articoli dell'Espresso e di Buzzfeed sul summit del 18 ottobre 2018 al Metropole, l'avvocato Gianluca Meranda e l'ex bancario Francesco Vannucci. Stop. Nell'elenco non c'è Matteo Salvini, la cui figura è stata ripetutamente chiamata in causa in questa vicenda. E non ci sono nemmeno gli interlocutori del terzetto italiano, i russi presenti nell'albergo moscovita e due dei quali, ormai, identificati: Ilya Yakunin e Andrey Kharchenko, entrambi legati al filosofo sovranista Aleksandr Dugin. Del terzo uomo - forse un interprete, forse qualcosa di più - ancora non si conosce il nome.

Se i due russi non sono finiti nel registro degli indagati significa che, almeno finora, per la Procura di Milano non sono loro né i destinatari né gli intermediari della tangente che Savoini e soci avrebbero prospettato in cambio di una fornitura petrolifera a prezzi ribassati. All'accusa di corruzione internazionale ipotizzata dalla Procura, insomma, continua a mancare uno dei corni del reato. Si sa chi sarebbero i corruttori, ovvero Savoini e soci, ma non c'è nessuna ipotesi su chi sarebbero i corrotti, i pubblici ufficiali russi (requisito indispensabile per tenere a galla il reato) cui sarebbe stata promessa la spartizione della «cresta» sulla fornitura. Il resto della cresta, stando alle registrazione dell'incontro, sarebbe servita a finanziare la campagna elettorale della Lega.

È una lacuna non da poco, che la Procura sa di dover colmare.

Da notare che a dare un nome ai possibili destinatari della «stecca» non è bastata, a quanto pare, neanche la testimonianza di Irina Aleksandrova, l'aitante giornalista della Tass che pure conosce bene Savoini e le sue entrature moscovite, interrogata dai pm lo scorso 9 gennaio.

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