L'approccio dell'amministrazione Trump al conflitto in Ucraina si distacca nettamente dalla tradizionale visione internazionale di Washington, rifiutando di inquadrare la guerra come una battaglia di principio per la difesa della democrazia. Si tratta, piuttosto, di un approccio funzionale e pragmatico, figlio della dottrina America First, che subordina l'impegno statunitense all'estero a un immediato ed esclusivo interesse nazionale.
In questa cornice, la priorità assoluta non è la vittoria di Kiev e Mosca non è più considerata un avversario da contenere a qualsiasi prezzo, bensì il raggiungimento di una pace immediata, anche a costo di significative concessioni ucraine. L'ex presidente ha manifestato ripetutamente l'intenzione di interrompere quello che ha descritto come un flusso incontrollato di aiuti all'Ucraina oneroso e privo di vantaggi strategici. Il suo obiettivo è sempre stato di fermare l'emorragia di risorse in un conflitto giudicato estraneo ai propri interessi vitali e a rischio di una pericolosa escalation. Parallelamente, Trump mira a recuperare le spese già sostenute, valutando anche soluzioni innovative.
In questo schema, il conflitto ucraino è anche una leva nei rapporti con gli alleati europei, da lui chiamati a farsi carico di una quota ben maggiore dei costi della sicurezza continentale. Coerentemente, la soluzione del conflitto non è affidata al multilateralismo, ma a una diplomazia diretta e personalizzata, possibilmente fondata su un negoziato tra leader capace di bypassare le burocrazie istituzionali.
A rafforzare l'urgenza di un veloce accordo concorrono due elementi cruciali. Il primo riguarda la sfera politico-economica: Trump guarda con favore alla fine delle sanzioni contro la Russia, intravedendo nella riapertura dei canali commerciali un vantaggio economico diretto per gli Stati Uniti. Il secondo è di natura politica: una rapida cessazione del conflitto è il modo migliore, se non l'unico, per disinnescare la costosa e lacerante frattura tra isolazionisti e interventisti all'interno del fronte conservatore.
Trump riconosce esplicitamente la fine dell'egemonia americana, accettando che gli Stati Uniti non possano più garantire la sicurezza globale.
Il suo approccio, molto possibilista sulle richieste russe, deve però fare i conti sia con le pressioni del sistema politico interno sia con le resistenze degli alleati, entrambi fattori che ne stanno influenzando i margini di manovra e dilatando i tempi dei negoziati.