«Il governo oggi è a Fermo con don Vinicio e le istituzioni locali in memoria di Emmanuel. Contro l'odio, il razzismo e la violenza», twitta di primissimo mattino Matteo Renzi. E dietro il gesto di condanna dell'atroce crimine razzista c'è anche un segnale politico: perché a Fermo, a rappresentare l'esecutivo, il premier ha mandato proprio Angelino Alfano, il ministro che certo è titolare del Viminale e dunque responsabile della sicurezza, ma è anche nel mirino delle opposizioni, che ne chiedono le dimissioni.
Alfano, da Fermo, parla di «giorno di infinita tristezza, che segna probabilmente un confine invalicabile tra chi ritiene che ci siano dei valori irrinunciabili e chi invece tra i valori inserisce un razzismo che noi disprezziamo». A Roma intanto il suo partito è in preda a convulsioni, lacerato tra chi vuole continuare a sostenere il governo Renzi e chi ne vorrebbe uscire. È la ministra della Salute Beatrice Lorenzin a tagliare corto sulle richieste di dimissioni del ministro: «Questo tema proprio non esiste. E il sostegno Ncd ad Alfano è assolutamente compatto». Il Senato, sabbia mobile di tutte le ultime legislature (e delle prossime, se non verrà approvata la riforma) ribolle, e si teme che già mercoledì prossimo i malpancisti possano lanciare un segnale di guerra: il provvedimento sugli Enti locali ha infatti bisogno della maggioranza assoluta di 161 voti per essere approvato, e senza gli otto presunti dissidenti Ncd e quelli di Ala i numeri potrebbero non esserci. Certo non si tratta di un voto di fiducia, che metterebbe a rischio immediato l'esecutivo (cosa che nessuno, in realtà, auspica ora), ma si batterebbe comunque un colpo anti-Renzi: «O tratti con noi, o non vai da nessuna parte». Ragionamento che ieri uno dei capifila della fronda, Roberto Formigoni, faceva apertamente.
Ieri però tutti i presunti congiurati facevano a gara a smentire che siano in cottura piani di guerriglia, a cominciare dal presidente dei senatori Renato Schifani, descritto come il più convinto tessitore di rapporti con il centrodestra berlusconiano, per costruire un ritorno a casa: «Leggo da retroscena giornalistici che il gruppo da me presieduto predisporrebbe un'ipotetica imboscata in occasione del voto sul dl Enti locali», dice, e sottolinea: «Vorrei ricordare come fino ad oggi il gruppo di Ap in Aula si è sempre dimostrato responsabile e compatto, e non ha mai dato luogo ad atteggiamenti ambigui e non in linea con il palese sostegno al governo». Nessuna trappola, garantisce dunque Schifani, e i maligni dicono che la dichiarazione sia stata anche frutto di pressioni interne: «Ha capito che rischiava di essere fatto fuori da capogruppo», spiegano da Palazzo Madama. Ma tra i presunti frondisti sono stati in molti, ieri, a ribadire la lealtà di Ncd al governo (e ad Alfano): da Marcello Gualdani a Guido Viceconte. «Detesto le imboscate», tuonava Maurizio Sacconi (che con i voti del Pd è presidente di commissione). Solo Giuseppe Esposito ribadiva l'idea di ritirarsi sull'Aventino di un «appoggio esterno» al governo.
A ieri sera, insomma, nessuno nel Pd prefigurava trappoloni parlamentari a breve: «Stanno tutti aspettando il referendum di ottobre, nessuno vuole far precipitare le cose ora». Anche se, si sottolinea al Senato, «l'incidente non voluto» è sempre possibile.
Nel frattempo, dal Pd ieri sono arrivate aperture a possibili modifiche della legge elettorale: per il capogruppo Zanda «l'Italicum non è intoccabile» (ma dice no al premio di coalizione), mentre per il sottosegretario Pizzetti rilancia: niente correzioni che sarebbero un pasticcio, se mai meglio un doppio turno di collegio.
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