I socialisti si infuriano e Renzi si scusa su Craxi

Il leader Pd paragona le mele marce del M5s al «mariuolo» Chiesa. Nencini (Psi) protesta

I socialisti si infuriano e Renzi si scusa su Craxi

Quel paragone un po' tirato per i capelli tra Gigino Di Maio e Bettino Craxi non è andato giù - comprensibilmente - a molti.

Così ieri Matteo Renzi se ne è scusato, facendo spiegare al suo portavoce Marco Agnoletti che il parallelo tra uno dei giganti (nel bene e nel male) della Prima repubblica e il piccolo aspirante premier arruffone della Casaleggio «ovviamente non sta in piedi», e che il segretario del Pd voleva solo «stigmatizzare la tendenza a circoscrivere una vicenda che è molto più grave di come è stata presentata». La battuta era scappata a Renzi durante la trasmissione Otto e Mezzo di lunedì sera, quando aveva detto che «Di Maio che parla di mele marce (sul caso dei falsi rimborsi grillini, ndr) ricorda Bettino Craxi con Mario Chiesa, che diceva un mariuolo». Dall'arresto di Mario Chiesa partì, com'è noto, la valanga di Tangentopoli. Dalla comica truffa dei bonifici fasulli dei Cinque Stelle ancora non si sa, fatto sta che però in molti si sono irritati e hanno protestato. Non solo, e comprensibilmente, i figli del leader del Psi scomparso, Bobo e Stefania, ma anche un alleato del Pd come il socialista Riccardo Nencini (cui è stato chiesto il sacrificio di candidarsi nel difficile collegio di Arezzo), che ieri ha rimproverato Renzi: «No, Di Maio non somiglia in nulla a Craxi. Uno sgrammaticato e uno statista. Un paragone che fa male all'Italia. Quando i tedeschi parlano di Kohl lo fanno con rispetto».

Sulla rimborsopoli grillina, però, il segretario del Pd non molla: «Il grave nella vicenda dei rimborsi non sta tanto negli importi ma nel fatto che i Cinquestelle pensano che noi siamo tutti rincoglioniti, come dice Di Battista», incalza. «Per anni ci hanno detto: solo noi siamo onesti. Poi si scopre che sono come tutti gli altri: hanno delle persone per bene, e poi dei truffatori e degli scrocconi».

Nel Pd c'è il sospetto che dietro i singoli casi che stanno uscendo, uno dopo l'altro, in questi giorni, possa esserci qualcosa di più: una sorta di sistema organizzato che fa girare milioni di euro (finora è di un milione e mezzo l'ammanco registrato) con l'avallo dei vertici. Per questo prendono di mira il candidato premier: «La questione è una sola», dice Andrea Romano, «Di Maio sapeva o no dei rimborsi truccati? Se sapeva, è l'organizzatore di una banda di truffatori dell'etica pubblica. Se non sapeva, è il capo incapace di una banda che lo prende in giro».

Intanto Renzi smentisce seccamente («Una fake news destituita di ogni fondamento») la voce riportata da Politico secondo cui punterebbe a sostituire Juncker ai vertici della Commissione Ue, con l'appoggio di Macron e del nuovo soggetto liberaldemocratico europeo cui il presidente francese starebbe lavorando. Invece, davanti alla stampa estera gli scappa una risposta trachant all'agenzia russa Tass che gli chiedeva un'intervista «se dopo il 4 marzo tornerà a Palazzo Chigi». «Quest'idea di tornare a Palazzo Chigi mi sembra più improbabile di un'intervista alla Tass», dice l'ex premier. Che poi fa precisare ad Agnoletti che si trattava solo di una «battuta» da non prendere sul serio. Insomma, se Renzi smentisce seccamente le ipotesi di andare a fare il presidente del Senato o il capo della Commissione Ue, l'idea di tornare a fare il capo del governo gli è assai meno estranea.

Con l'idea che se, come ripete, il Pd riuscirà ad essere «il primo gruppo del prossimo Parlamento», qualche chance ci potrebbe essere. A dare una mano alla campagna del Pd arrivano intanto Walter Veltroni e Romano Prodi, che nei prossimi giorni parteciperanno a manifestazioni elettorali. A fianco di Paolo Gentiloni, però.

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