Economia

Impossibile tagliare le imposte senza un patto con la Francia

Da Parigi mano tesa per creare un asse in Europa sulle politiche economiche. Ma Renzi sembra ignorare l'appello di Hollande: presto il suo bluff verrà svelato

Impossibile tagliare le imposte senza un patto con la Francia

Quando il gioco si fa duro, i duri entrano in campo. Ma con questa Europa, con queste regole, l'annuncio di Renzi di un taglio delle tasse per 40-50 miliardi in 3-5 anni è un volgarissimo bluff già scoperto, e anche un po' ingenuo. Un bluff fatto di promesse che il presidente (si fa per dire) del Consiglio sa di non poter mantenere, ma che utilizza per sfondare nello schieramento politico avversario e per riprendersi dalla caduta libera sua e del suo governo nei consensi. Il tutto assecondato dai giornaloni comprati e venduti.

Ma alla lunga questo bluff rischia di trasformarsi in un boomerang: la gente capirà, o forse ha già capito, che il taglio delle tasse annunciato da Renzi non è possibile. Dal momento che nel primo anno e mezzo a palazzo Chigi, Renzi le tasse le ha aumentate, anche sulla prima casa, e dovrà aumentarle ancora nei prossimi 3 anni per le clausole di salvaguardia contenute nell'ultima legge di Stabilità, che scatteranno automaticamente dal 2016 e comporteranno un aumento dell'Iva fino al 25,5% nel 2018.

A meno che il retropensiero del (si fa per dire) premier non sia quello di cominciare un braccio di ferro con l'Europa per rinviare ancora di qualche anno il pareggio di bilancio, già spostato in avanti con giochi di prestigio dal ministro Padoan al 2018, e sforare il limite del 3% del rapporto deficit/Pil come fa la Francia.

Facile a dirsi, difficile a farsi. Perché l'Italia non è la Francia, non ha la credibilità politica della Francia, ma, soprattutto, al contrario della Francia, l'Italia ha un debito pubblico fuori controllo, in continua crescita, secondo solo a quello della Grecia, e che, se aumenta il deficit e si riduce l'avanzo primario, diventa ancora più insostenibile.

Ne deriva che anche l'ipotesi di aprire una vertenza in sede europea per abbassare le tasse appare una missione impossibile. Tanto più che, al di là della retorica della cancelliera tedesca Merkel, che si è detta «impressionata» dai primi provvedimenti del governo Renzi, le riforme illustrate dal presidente (si fa per dire) del Consiglio nelle sue slide non esistono, invece, nella realtà. E l'Italia continua a crescere a un ritmo pari a meno della metà di quello medio dell'eurozona.

Per non parlare, infine, della debolezza dello stesso (si fa per dire) premier, non eletto dal popolo, ma arrivato al potere con una congiura di palazzo. Un (si fa per dire) premier senza una maggioranza certa in una delle due Camere, costretto a pietire a destra e a manca i voti che di volta in volta servono per approvare le leggi.

Insomma, con la sua proposta di una settimana fa, Renzi si è messo in un mare guai, non si sa se scientemente o meno. Guai che traspaiono dalle dichiarazioni imbarazzate del ministro dell'Economia e degli altri più avveduti consiglieri economici di palazzo Chigi.

Se a tutto ciò si aggiungono le fibrillazioni siciliane e romane, e le ribellioni delle fronde interne del Partito democratico, la situazione diventa assolutamente esiziale per Matteo Renzi.

Talmente esiziale che il presidente (si fa per dire) del Consiglio non ha visto l'unica ancora di salvezza che, in mezzo a questo suo vicolo cieco, gli è arrivata da oltralpe: la proposta di François Hollande di ridare una dimensione politica all'eurozona, con un governo e un Parlamento comuni, idea originaria di Jacques Delors. Renzi non se n'è neanche accorto.

Una proposta fatta dal presidente della Repubblica di un paese che per tanti versi è messo come l'Italia, con cui diventerebbe facile lavorare insieme per perseguire interessi comuni, se il nostro (si fa per dire) premier fosse all'altezza. La proposta francese ha il pregio di cambiare le carte in tavola all'Europa tedesca: non più l'imbuto voluto dalla Germania, fatto di controlli sempre più stringenti; cessioni progressive di sovranità; «compiti a casa»; asfissia dei paesi con alto debito pubblico e difficoltà di governance; non più, quindi, i ricatti politici e dei mercati finanziari per cui «sei in crisi, è colpa tua», ma una nuova unione in cui davanti a tutto c'è la responsabilità politica.

Questo non significa aderire senza se e senza ma alla proposta di Hollande, ma almeno partecipare al tavolo, entrare nel merito delle questioni, visto che, tra l'altro, insieme alla Germania e ai tre Paesi del Benelux il presidente francese ci ha esplicitamente chiamati in causa.

Per esempio, rispondiamo all'appello francese arricchendo la proposta di un grande piano di investimenti pubblici, che mobiliti risorse fresche e pari almeno al triplo di quelle previste dall'attuale piano Juncker, con la garanzia della Banca europea degli investimenti e approfittando degli attuali bassi tassi di interesse. E della reflazione da parte della Germania.

Reflazione per l'economia tedesca vuol dire diminuzione della pressione fiscale; aumento della domanda interna; quindi dei consumi; degli investimenti; dei salari; delle importazioni e, di conseguenza, della crescita. La reflazione diventa necessaria quando si tocca il fondo della recessione e della deflazione, e per risalire la china serve un «rimbalzo», vale a dire una politica economica che vada nella direzione opposta.

La reflazione è l'antibiotico giusto dopo la tragica fase depressiva che in Europa ha distrutto non solo le economie degli Stati, ma ha anche provato le coscienze e stressato le democrazie.

La Germania deve reflazionare per rispondere alle ripetute raccomandazioni della Commissione europea dovute all'eccessivo surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (netta prevalenza delle esportazioni sulle importazioni). Gli altri paesi devono farlo per cambiare la politica economica germano-centrica dell'austerità e del rigore cieco e imboccare la strada della ripresa e dello sviluppo, tanto al proprio interno quanto a livello di intera eurozona. E possono farlo attraverso lo strumento dei Contractual agreements , vale a dire contratti bilaterali con la Commissione europea per cui le risorse necessarie all'avvio di riforme volte a favorire la competitività del «sistema paese» non rientrano nel calcolo del rapporto deficit/Pil ai fini del rispetto del vincolo europeo del 3%.

Come abbiamo già visto, facendo due conti sul retro di una busta, se la Germania reflazionasse, se spendesse, cioè, in tutto o in parte il suo surplus accumulato in questi anni di euro, l'Europa potrebbe essere fuori dai guai in un paio di anni.

Il risultato sarà una spinta positiva, di almeno un punto, alla crescita di tutta l'area euro. Crescita che attualmente è ferma, come previsione per il 2015, all'1,5%.

Una reflazione consistente dei paesi in surplus potrebbe, quindi, portare più sviluppo e maggiore occupazione e benessere per tutti. Incluso un positivo effetto in termini di sostenibilità dei debiti sovrani.

All'interno di questo quadro di profonda revisione dell'architettura europea, di investimenti e di reflazione dei paesi in surplus, quindi di crescita e di rilancio politico dell'eurozona; in questo quadro complessivo, caro Renzi, il tema del taglio delle tasse sarebbe credibile, in Italia e in tutta l'unione. E si uscirebbe dal circolo vizioso di alta pressione fiscale-bassa crescita-alto debito-recessione-deflazione-disoccupazione-disperazione.

Ma il giovin Renzi di questa grande occasione non si è accorto, in altre faccende affaccendato, e non ha saputo cogliere la proposta francese della ricostruzione politica dell'Europa e la nostra proposta di reflazione in Germania. Per questo avevamo chiesto che venisse in Parlamento: per aiutarlo a uscire dal suo autismo e dalla sua autoreferenzialità. Ma lui è scappato.

Caro Renzi, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non si può dire all'opinione pubblica che si tagliano le tasse, senza dire che questo comporta la violazione dei vincoli europei. Noi siamo da sempre per ridurre la pressione fiscale e siamo pronti a votare le relative norme in Parlamento, purché te ne assuma le responsabilità. Con gli italiani, con la tua sinistra, con l'Europa tedesca. Basta imbrogli, caro Matteo. Basta con il gioco delle tre carte. La politica è una cosa seria. Da duri e competenti.

E tu non sei né l'uno né l'altro.

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