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Gli impresentabili vanno bene solo se li riceve la sinistra

Contestano il summit Salvini-Orban ma dimenticano gli incontri di Stato dei notabili del Pd con i dittatori

Gli impresentabili vanno bene solo se li riceve la sinistra

«È la real politik stupidino», avrebbero spiegato, fino ad ieri, i saputelli di sinistra pronti oggi a sputare veleno e indignazione sull'incontro del ministro degli Interni Matteo Salvini con il premier ungherese Viktor Orban. Peccato che la propensione alla superiorità morale dei soloni nostrani vada di pari passo con una memoria assai corta.

Certo, non pretendiamo ricordino il settembre 1982 quando i deputati di sinistra si spellano le mani per applaudire il capo dell'Olp Yasser Arafat presentatosi a Montecitorio con pistola alla cinta e kefiah in testa. E nemmeno gli incontri di quei giorni del Capo dell'Olp con il presidente della Repubblica Sandro Pertini e quello della Camera Nilde Iotti. La foto di Massimo D'Alema intento a passeggiare tra le rovine di Beirut a braccetto con il deputato di Hezbollah Hussein Haji Hassan dovrebbero però averla ben presente. Anche perché quell'immagine, scattata dopo quaranta giorni di guerra tra il Partito di Dio e Israele, costò al nostro ministro degli esteri le reprimende della comunità ebraica.

Ma la storia della sinistra istituzionale italiana è zeppa di prolifici incontri con presunti «impresentabili». L'8 settembre 2006 il premier Romano Prodi non ha problemi ad accomodarsi nella tenda del rais Muhammar Gheddafi Tripoli. Un incontro favorito dall'impegno di Prodi, in veste di presidente della Commissione europea, per spianare la strada alla prima visita del Colonnello a Bruxelles nel 2004. Ma a rompere il ghiaccio, come ricorderà Marco Minniti, era stato ancor prima Massimo D'Alema. «Il governo Prodi fu il primo a dialogare con Gheddafi. Ma il primo ministro europeo a fargli visita ufficiale nel 1999 fu D'Alema».

Il presidente Giorgio Napolitano comunque non è da meno. Nel marzo 2010, solo un anno prima dello scoppio della guerra civile, vola a Damasco per conferire al presidente siriano l'onorificenza di «Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone al merito della Repubblica Italiana». Un conferimento suggellato da un discorso in cui definisce Assad «difensore dello Stato laico e delle libertà cristiane». Apprezzamenti completamente scordati già due anni dopo quando Napolitano si affretta a cancellare l'onorificenza adeguandosi alle accuse rivolte al presidente siriano dalle cancellerie occidentali.

Ma quanto a rapporti con presunti anti-democratici anche Emma Bonino, simbolo delle battaglie per i diritti femminili, ha poco da star allegra. Nel gennaio 2014 da ministro degli Esteri del governo Letta accetta di chinare il capo sotto il velo «offertole» da un solerte funzionario iraniano pur di non rinunciare all'incontro a Teheran con il suo omologo Mohammad Javad Zarif. Nel gennaio 2016, invece, le pretese iraniane mettono a dura prova la reputazione del premier Matteo Renzi. Alla vigilia della visita in Campidoglio del presidente iraniano Hassan Rohani alcuni funzionari del nostro cerimoniale si vedono costretti all'umiliante compito di coprire con dei pannelli bianchi le statue di nudi dei Musei Capitolini.

Ma se in quel caso gli affari hanno la meglio sulla dignità nazionale che dire del mai spiegato arrivo a Palazzo Chigi, nel maggio 2017, del faccendiere George Soros subito ricevuto da Paolo Gentiloni? Un ricevimento quanto meno inopportuno visto che il discusso finanziere, protagonista nel 1992 dell'affossamento della lira, è oggi il grande finanziatore delle Ong. Le stesse Ong colluse non i trafficanti di uomini messe sotto accusa dalla Procura di Catania pochi giorni prima di quella «strana» visita al nostro premier. Ma Gentiloni fa anche di peggio. Nel febbraio di quest'anno riesce, in coppia con il presidente Sergio Mattarella, a stringere la mano ad uno spregiudicato autocrate come il presidente turco Recep Tayyp Erdogan transitato il 5 febbraio scorso dalla sala da pranzo del Quirinale alle sale ricevimenti di Palazzo Chigi. Il tutto per ricevere in cambio un solenne calcio in faccia. Solo un paio di giorni dopo quella visita, infatti, un incrociatore turco blocca una nave dell'Eni impegnata in attività di prospezione intorno a Cipro.

Il tutto senza che Gentiloni o Mattarella osino proferire mezza parola.

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