Possono dormire tranquilli. I guaglioni che sabato hanno messo Napoli a ferro e fuoco per contestare il comizio di Matteo Salvini forse non verranno mai identificati. Ma se invece - grazie alle tecnologie moderne e all'impegno di qualche poliziotto - dovesse scoprirsi chi si nascondeva dietro le maschere da Pulcinella, se si riuscisse dare un nome a chi ha incendiato le auto, lanciato bombe carta sulla polizia, terrorizzato una città, in galera non ci finirà nessuno. Se qualcun verrà arrestato, ci resterà ben poco, il tempo per venire scarcerato in attesa di giudizio, e vedere poi derubricate le accuse a reati da pochi mesi: sospensione condizionale, affidamento ai servizi sociali, e un augurio di ravvedimento.
A rendere scontato questo esito del sabato di violenza di Fuorigrotta è, semplicemente, l'analisi dei precedenti. In un paese dove le imprese dei black bloc e degli antagonisti a mano armata si ripetono con frequenza e con copioni sempre uguali - cambiano solo la città e il pretesto - la risposta giudiziaria è ispirata sovente all'indulgenza: tanto che si contano sulle dita di una mano i violenti finiti a espiare la loro pena. Sono in carcere Marina Cugnaschi, Francesco Puglisi e Alberto Funaro, condannati (forse fin troppo duramente) per il G8 di Genova; è in carcere Davide Rosci, protagonista degli assalti alle forze dell'ordine a Roma nell'ottobre 2011; a Milano è finito dentro uno dei condannati per una delle giornate peggiori del capoluogo lombardo, la guerriglia in corso Buenos Aires nel marzo 2006: ma solo perché dopo avere ottenuto l'affidamento ai servizi sociali ha preferito non presentarsi.
Per il resto, tutti allegramente a piede libero. È libero Fabrizio Filippi detto er Pelliccia, quello immortalato a Roma mentre lanciava un estintore sulla polizia; libero Marco Ventura, che durante il corteo no Expo del Primo Maggio a Milano prese a bastonate insieme ad altri un poliziotto steso a terra e indifeso; liberi qua e là per il paese una quantità di habitué del cappuccio nero identificati con certezza e con altrettanta certezza miracolati dal garantismo dei giudici.
Quasi mai si tratta di assoluzioni con formula piena, va detto. La mossa vincente dei difensori degli antagonisti è quasi sempre quella di far cadere l'accusa di devastazione, l'unica che il codice penale colpisce con una certa severità. Sparita la devastazione, a carico degli imputati restano reati come il danneggiamento o la resistenza a pubblico ufficiale che consentono facilmente di restare sotto la magica soglia dei tre anni di condanna: niente carcere, e affidamento in prova per essere rieducati e reinseriti nella società (sarebbe interessarne indagare sulle modalità e sull'esito di tali rieducazioni).
Il problema è che ai giudici il reato di devastazione non piace, e lo usano con grande parsimonia: dei cinque estremisti milanesi incriminati per il corteo No Expo del 2015, uno solo è stato condannato per questo reato, agli altri accuse ridotte e condanne blande; la Procura ha impugnato le assoluzioni spiegando che «ogni facinoroso aveva la chiara percezione del
contributo materiale e morale dato con la propria condotta al complessivo ampio scenario di devastazione»; bisognerà ora vedere cosa ne pensano i giudici d'appello. Nel frattempo, tutti liberi, in attesa del prossimo corteo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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