«Cosa è cambiato? In fondo nulla, tutto continua a funzionare come prima. Cioè malissimo». L'avvocato Ivano Chiesa è noto al grande pubblico come difensore di Fabrizio Corona. Ma del Palazzo di giustizia di Milano conosce, con decenni di processi sulle spalle, i pregi, i difetti, i riti. Ed è lui a raccontare come la tempesta del «caso Amara» sia vissuta dall'altra parte del banco, tra gli avvocati e gli imputati che del sistema giustizia sono gli interpreti più bistrattati. «Per gli avvocati - racconta Chiesa - quanto sta accadendo non cambia molto, tu il tuo lavoro cerchi di farlo comunque. Il problema riguarda gli imputati. Questo sistema funziona se anche loro hanno un po' di fiducia nei suoi confronti. Invece questa storia non fa che rafforzare il sentimento di disistima nei confronti della magistratura, la loro sensazione di essere in mano a un sistema fuori da ogni controllo».
Cosa le dicono i suoi assistiti?
«È da una vita che mi rivolgono domande imbarazzanti, quando si ritrovano indagati o sotto processo, e per la prima volta si rendono conto di come viene amministrata la giustizia in questo paese. Dal caso Palamara in avanti queste domande si sono moltiplicate. Mi chiedono ma cosa succede, ma cos'è questa roba?. Mi domandano: ma davvero devo essere giudicato da magistrati che fanno le cose che leggo sui giornali?»
Il «caso Amara» è andato ancora più in là del caso Palamara, i veleni tra le toghe sono esplosi, ci sono procuratori e pm sotto accusa. Come la vede?
«Come tutti mi chiedo chi abbia ragione e non so rispondere, perché non conosco le carte. Stando a quanto leggo, il dottor Storari ha sbagliato il metodo, altrimenti non si troverebbe indagato per rivelazione di segreto d'ufficio. Ma il suo obiettivo era quello di poter fare una indagine che riteneva necessaria. Allora mi domando: ma come, un pm che vuol fare le indagini tu lo trasferisci? È come se si punisse un medico del pronto soccorso che ha la pretesa di curare la gente. Sono queste secondo me le cose che la gente non capisce, e che portano il sentimento di sfiducia ai massimi livelli».
Era immaginabile quanto sta accadendo nella Procura di Milano?
«Assolutamente no. A me la Procura era sempre apparsa come un ufficio compatto, ora emergono spaccature profonde. Io resto basito e mi rincresce, anche perché i personaggi coinvolti li conosco tutti da anni. Forse sarebbe bastato un po' di buon senso in più da parte di tutti e tutto questo non sarebbe accaduto... Io non so se questi contrasti riguardino solo il caso Amara o nascano anche da altre vicende, di certo è che le modalità con cui sono esplose sono sconcertanti. E il fatto che il procuratore della Repubblica sia indagato non è una bella cosa».
Però se Storari non avesse passato la brutta copia dei verbali a Davigo...
«Io di quello che dice Davigo non condivido neanche che ora è, se per lui sono le otto per me sono almeno le otto e mezzo. Ma Davigo in quel momento era un uomo molto importante, non mi stupisce che Storari si sia rivolto a lui. Storari voleva fare una cosa buona, poi gli è scappata di mano. La risposta negativa del Csm alla richiesta di trasferirlo è un segnale molto forte. E adesso magari questa storia risulterà utile».
In che senso?
«È come col caso Palamara. Viene fuori un macello, la gente capisce, magari si fa un po' di pulizia e soprattutto si mette mano ai problemi veri».
Ovvero?
«Cominciamo da quelli contenuti nei referendum di Lega e radicali.
Il vero obiettivo, il risultato indispensabile, è la separazione della carriere. Sa qual è la prima domanda che mi fanno sempre i miei assistiti? Mi chiedono: ma davvero quello che mi giudica è un collega di quello che mi accusa?»
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