Indagata la moglie del pediatra suicida: vittima o istigatrice?

Si stava togliendo la vita anche lei, ma si è fatta salvare: ora è sotto inchiesta perché avrebbe «agevolato» il marito Il legale: «Atto dovuto». Figlio scarcerato

La tragedia di un figlio indagato, e la scelta di farla finita. Un padre che si lancia da un ponte e una madre che, forse per quel po' di voglia di vivere rimastole in corpo, alla fine si lascia salvare dalla Polizia. E ora è indagata per agevolazione al suicidio del marito.

Sembra infinito il travaglio di una famiglia di Genova, descritta dall'avvocato di fiducia come una delle più stimate e conosciute della sua città e che è finita al centro di un ciclone mediatico per il dramma della morte di Francesco Menetto, 65enne medico pediatra, che domenica notte si è lanciato nel vuoto. Con lui c'era Graziella Valeria Ghini, 68 anni. I due, secondo quanto si apprende, avevano deciso di farla finita insieme, dopo l'arresto del loro unico figlio (la cui sorella si è tolta la vita qualche anno fa) Marco Menetto, arrestato ed associato ai domiciliari perché coinvolto in una maxi indagine per un presunto traffico illecito di farmaci della Procura di Monza. Ghini però è stata salvata e ricoverata al San Martino, reparto che ha lasciato stamani. La donna, per gli inquirenti, avrebbe aiutato il marito a scavalcare un'inferriata prima di gettarsi. Da qui il capo di imputazione il cui approfondimento è coordinato dal pm Biagio della Procura di Genova.

«È un atto dovuto, ci auguriamo solo una questione formale – spiega il legale della famiglia, Umberto Pruzzo – che forse non era necessario, vista la situazione. La signora stava per gettarsi insieme al marito, lo testimoniano anche gli agenti presenti sul posto. Per meglio comprendere la dinamica dei fatti è stata predisposta l'autopsia sul corpo di Menetto». Pruzzo poi fa presente la difficile situazione del suo assistito, Marco Menetto, indagato (scarcerato dal provvedimento cautelare ai domiciliari su istanza del legale per i gravi motivi familiari). «È molto provato, ieri ha voluto rilasciare un'intervista in tv per far comprendere il suo non essere assolutamente contro la magistratura. Va tenuto presente che se una persona protesta la sua innocenza, non significa che voglia ostacolare il lavoro dei giudici. Il biglietto lasciato da suo padre in auto («la magistratura miope a volte uccide», ndr ) non è stato scritto da lui. Inoltre bisogna anche capire che si trattava delle parole di una persona confusa».

E proprio in seguito al messaggio contro i pm monzesi e la replica della Procura, in questi giorni si è infiammata la polemica. Alle prime parole del Procuratore Capo di Monza Corrado Carnevali «ormai dicono tutti così, non c'è altro da aggiungere», sono seguite quelle del viceministro Costa «parole fuori luogo, spero siano state travisate».

Carnevali allora ha precisato il suo essere «addolorato per i drammatici accadimenti, di comprendere la difficoltà di chi affronta l'indagine a carico di un figlio e di essere dispiaciuto però, del continuo attacco alla magistratura che deve essere messa in condizioni di poter lavorare».

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