Indagati da Roma a Milano i "cani sciolti" dei siti islamisti

L'inchiesta nella Capitale partita dal monitoraggio del web, dove i fanatici vengono reclutati. La nuova Procura antiterrorismo accorpata all'antimafia

Indagati da Roma a Milano i "cani sciolti" dei siti islamisti

Cercano un'identità, un ideale folle, un territorio. Si documentano sui blog dell'Isis, su Youtube, dialogano con i combattenti siriani, prendono accordi. Sono «cani sciolti», non ancora una cellula. Si autoesaltano su internet ma per l'antiterrorismo sono persone potenzialmente molto pericolose, i dieci primi sospettati d'Italia per terrorismo e associazione sovversiva legata alla jihad dopo l'attacco a Parigi. La procura di Roma per ora lascia trapelare informazioni più che caute: dieci pericolosi simpatizzanti dello Stato islamico sono oggetto di un'inchiesta condotta dal procuratore Giuseppe Pignatone e dall'aggiunto Giancarlo Capaldo. A Milano intanto sono tre le inchieste in corso su terroristi islamici. E il ministro Orlando ha predisposto un coordinamento unico, tra Procura nazionale antiterrosimo e antimafia, per contrastare la nuova minaccia.

Il lavoro investigativo a Roma è partito da conversazioni intercettate via web e dagli accessi ai siti sospetti. C'è la rivista jihadista che pone in copertina l'immagine di piazza San Pietro con la bandiera nera dell'Isis issata in cima all'obelisco e il titolo: «La crociata fallita»; un blog dello Stato islamico. Proprio nei giorni scorsi la presidente delle donne marocchine in Italia, Souad Sbai, aveva consegnato alla procura un centinaio di indirizzi. «Ho visto decine di siti- racconta Sbai - che spiegano i modi per raggiungere i combattenti, pubblicano notizie di attentati e combattimenti». I «cani sciolti», come li chiama la procura, sembrerebbero terroristi «in embrione di quelli che hanno colpito in Francia», analizza con Il Giornale il tenente Giuseppe Rabita, docente di metodologie e tecniche investigative all'Università La Sapienza e presidente dell'associazione Leonardo Intelligence.

Gli «adescatori» di internet non vanno a caccia di adepti, ma si «fanno trovare», usando i canali dei social e di Youtube. Gli «adescati» spesso «cercano un percorso personale per colmare un'inadeguatezza sociale». Figli quasi sempre di immigrati «non si sentono cittadini al cento per cento del Paese ospitante e cercano un contatto con il mondo di provenienza della propria famiglia». Gli jihadisti «mettono in campo un vero e proprio marketing di internet che mette in condizione questi ragazzi che cercano un riscatto sociale di trovarli». A questo punto «rafforzano il contatto»: da un «mi piace» lasciato sotto a un video, «si passa al messaggio». E inizia «a costruirsi la relazione» tra «i reclutatori e i candidati», l'invio di materiale: «Il passo successivo è questo: quando il reclutatore si rende conto che il candidato è assoggettato inizia a lavorare sul senso di colpa. Gli dice: sei insoddisfatto della tua vita, hai capito le ragioni islamiche, sei diventato un fratello, ma cosa fai per i tuoi fratelli?». Questa «è una chiave potentissima perché apre una voragine nel baratro che queste persone avevano già della loro identità».

Intanto in Sicilia aumentano i controlli dell'antiterrorismo sugli sbarchi. Secondo i dati aggiornati dell'associazione Migrantes, le persone sbarcate in Italia sono più che triplicate in un anno: da 50mila del 2013 a 170mila del 2014.

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