Si fosse ritrovato davanti, da pm qual è stato, un amministratore pubblico che, con la carta di credito aziendale pagava soggiorni nell'albergo più lussuoso di Palermo, inclusa una gita in barca con fidanzata al seguito, avrebbe fatto partire la gogna, oltre che tutto il proponibile per legge per punire il peculato. Ma Antonio Ingroia, ormai solo avvocato e politico flop, pm non è più. Anzi, nella scomoda veste di indagato per peculato, come ex amministratore unico di Sicilia e-Servizi, sulla graticola c'è proprio lui, il moralista che predicava bene, ma che, stando all'inchiesta, razzolava peggio dei maneggioni della Prima repubblica.
Gira male, a Ingroia, anzi malissimo, dopo il sequestro di 151mila euro. Perché gli ex colleghi di quella procura di Palermo di cui per anni è stato l'incontrastato re dell'antimafia, non solo hanno rigettato - come racconta La Stampa - la sua richiesta di dissequestrare il suo casale di Calatafimi (Trapani), ma hanno messo agli atti tutte le ricevute della sua vita allegra a spese dell'American Express intestata alla società regionale da lui guidata. E tra queste, oltre a 38 soggiorni in alberghi a cinque stelle tra cui Villa Igiea, tra una suite presidenziale da 600 euro e una Tower suite da 675 con fidanzata al seguito, spunta anche la ricevuta da 520 euro per il giro in barca.
«Un errore», ha spiegato lui, sostenendo che la ricevuta era stata già fatta e che i soldi della gita in barca li ha restituiti alla società. Così come ha restituito oltre 5mila euro di soggiorni, probabilmente gli extra legati anche alla presenza della compagna visto che globalmente gli vengono contestati, solo per Villa Igiea, 40mila euro di spese alberghiere. Ma ai pm cresciuti alla sua scuola (vedi quant'è amaro il contrappasso) importano come prova del reato le ricevute. La restituzione quella no, non conta.
Ingroia si è sempre difeso secondo tradizione degli indagati eccellenti, gridando al complotto contro di lui. Il mandante varia. In un post su Facebook all'indomani del sequestro ha neanche tanto velatamente indicato il presidente emerito Giorgio Napolitano, spiegando l'attacco nei suoi confronti come il tentativo di infangare la sua «creatura», l'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia che la settimana prossima andrà a sentenza.
Più recentemente sul suo sito, postando una pagina del Fatto in cui viene dipinto come il moralizzatore che ha eliminato gli sprechi a Sicilia e-Servizi, proclama: «Ecco la verità delle cose». E grida al dossieraggio contro di lui. Ma il pm non è più lui. Lui, proprio per i pm di Palermo, è l'amministratore scroccone. Che faceva la bella vita coi soldi del contribuente.
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