Intesa tra Toti e i governatori. Blindato l'asse con Lega e Fdi

L'azzurro con Maroni e Zaia consolida l'alleanza storica. Proteste in Fi contro Parisi: a che titolo giudica?

Intesa tra Toti e i governatori. Blindato l'asse con Lega e Fdi

I governatori di Liguria, Lombardia e Veneto uniti per dire «No» alla riforma costituzionale. È un «comitato istituzionale» che raggruppa anche sindaci e amministratori locali quello presentato dai tre presidenti di regione di centrodestra. Roberto Maroni, Luca Zaia e Giovanni Toti, riuniti a Milano per siglare il documento «Serve un No», sono da tempo protagonisti di un asse politico e una collaborazione strategica che punta a blindare l'asse Forza Italia-Lega-Fratelli d'Italia e in qualche modo si contrappone all'idea di allargamento al centro propugnata da Stefano Parisi.

I tre presidenti di Regione non si limitano a generiche dichiarazioni di principio, ma entrano nel merito dei pericoli e dei difetti del ddl Boschi. «Il nostro non è un No politico» spiega Maroni «ma una difesa delle autonomie, delle Regioni e della democrazia». La legge Boschi, sostengono anche, «è profondamente contraddittoria perché sancisce il passaggio da un regionalismo senza Senato delle autonomie a un Senato delle autonomie senza regionalismo». Il tutto accompagnato da una loro proposta che contiene l'adozione del modello presidenziale con l'elezione diretta del capo dello Stato; un nuovo modello di federalismo con un'assemblea delle autonomie a sostituire il Senato; l'avvio di un processo di macro-regionalizzazione; il taglio dei deputati da 630 a 430 e la soppressione dei senatori a vita; oltre all'inserimento del vincolo di mandato per i parlamentari e il potenziamento dello strumento del referendum.

La giornata del centrodestra, però è soprattutto segnata dagli effetti del cambio di passo comunicativo adottato da Stefano Parisi che prima mercoledì a Controcorrente, poi ieri in una intervista ad Affaritaliani abbandona il fioretto e imbraccia la sciabola attaccando prima il personale politico di Forza Italia che «faceva la fila fuori dalla porta di Berlusconi per essere messa in lista, ma la campagna elettorale la faceva Berlusconi», poi la riforma della Pa realizzata da Renato Brunetta.

Il clima dentro il partito si surriscalda immediatamente. Nella chat di discussione del gruppo parlamentare azzurro i toni sono accesi. C'è chi si indigna, chi invita a reagire e chi ritiene che si tratti di una mossa per riconquistare la ribalta mediatica. Un po' di preoccupazione si percepisce anche tra i parlamentari vicini all'ex direttore generale di Confindustria, «caduto nella trappola» dello stato maggiore del partito. Al di là di questi malumori ci sono anche risposte ufficiali e taglienti. Per Brunetta «Parisi, impegnato nel suo triste e fallimentare tour acchiappa gonzi, non ha forse studiato le leggi e i risultati ottenuti dai governi di centrodestra. Aprire bocca per attaccare la riforma Brunetta è indice soprattutto di pochezza politica». Per Luca Squeri «quando si parla di Forza Italia, si parla anche delle vicende personali e politiche di tante persone. Di professionisti che hanno lasciato la propria attività, spesso di prestigio, per sostenere Berlusconi nella sua battaglia. E di dirigenti che per farlo hanno subito l'ira della magistratura politicizzata, finendo persino in carcere. Dovrebbe avere il buon gusto di non offendere». Per Altero Matteoli «Parisi non ha titolo per giudicare. Finora si è candidato solo una volta e ha perso. Gli elettori sono i veri giudici dei politici». Francesco Giro prova, invece, a stemperare i toni.

«Da Parisi arriva una provocazione utile a irrobustire la nostra identità liberale popolare e riformista. E comunque invece di parlare di noi, preoccupiamoci di ciò che sta fuori, un mondo pieno di aspettative di emergenze che talvolta ignoriamo catturati come siamo dalla polemica politica».

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