Iran, 23 morti nella rivolta. Ma Khamenei accusa: colpa dei nemici stranieri

Tra le vittime c'è anche un bambino di 11 anni. Adesso i 500 arrestati rischiano la pena capitale

Iran, 23 morti nella rivolta. Ma Khamenei accusa: colpa dei nemici stranieri

Non accennano a placarsi i violenti moti di piazza incominciati sul finire della scorsa settimana in Iran. Ventitré i morti, tra cui un bambino di 11 anni, e quasi cinquecento gli arrestati, finora. Compresa la ragazza (di cui non si sa più nulla) che ebbe l'ardire di «svelarsi» davanti a un manipolo di Guardiani della Rivoluzione irridendo la norma che vuole le donne a capo coperto, in pubblico. Ventitré morti, dicevamo. Mentre fra gli arrestati molti rischiano la condanna a morte con l'accusa di «muharebeh», cioè di guerra condotta contro Dio. Eppure, se si potesse fare dell'ironia in una vicenda che di allegro non ha niente, qualcuno si consolerebbe pensando che il già pesante bilancio dei moti popolari sarebbe molto più alto se al vertice della Repubblica non ci fosse il «moderato» Hassan Rohani, componente del «Consiglio del Discernimento» così si chiama - e di un partito che ha nella sua ragione sociale le parole (testuali) «moderazione e sviluppo».

La verità è che contro la Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, e i suoi «guardiani», Rohani può poco. Si fa come dice l'erede di Khomeini buonanima. Punto. E finché Khamenei resta convinto che le proteste di piazza sono orchestrate all'estero, dai nemici del Paese «che hanno impiegato armi, denaro, servizi di sicurezza per minare la sicurezza del nostro Paese», la sanguinosa repressione continuerà.

Nemmeno una parola, dalla Guida suprema, sull'accusa principale che milioni di iraniani (i giovani soprattutto) rivolgono ai vertici del potere. La corruzione, il carovita, la disoccupazione, naturalmente. E una crisi economica su cui si stagliano cifre da incubo: aumenti del 70 per cento per i carburanti; più 40 per cento la luce e il gas, triplicata l'imposta sui viaggi all'estero, abolizione dei sussidi governativi per 20 milioni di persone, un quarto della popolazione dell'Iran. Per non dire della ventina di banche fallite e di risparmiatori sul lastrico.

Ma a incendiare gli animi della popolazione sono soprattutto i miliardi spesi dal regime per finanziare Bashar al Assad in Siria, gli Hezbollah in Libano, gli sciiti del Bahrein e i gruppi jihadisti di Gaza. Tra i cinque e i ventinove miliardi di euro l'anno solo in Siria, secondo l'inviato speciale dell'Onu per la Siria De Mistura.

Di fantastiliardi sperperati per accrescere e consolidare la propria influenza nella regione parla anche il capo di stato maggiore israeliano Gady Eisenkot. Secondo i dati in suo possesso, i soli Hezbollah libanesi ricevono dall'Iran annualmente fra 700 milioni e un miliardo di dollari. In cambio, Hezbollah ha accettato di schierare il 40 per cento della propria forza offensiva in Siria e nello Yemen.

Di qui il progetto «mirato» dell'amministrazione Usa di colpire con sanzioni il nucleo dei fedelissimi di «un regime corrotto e brutale» (parole di Trump) evitando di danneggiare la popolazione. «Purché si faccia in fretta», ha scritto un ragazzo con una bomboletta spray su un muro di Qom.

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