L'abbraccio tra sinistra e toghe che ha inquinato la democrazia

Il romanzo storico d'Italia attraverso il racconto di Cicchitto in L'uso politico della giustizia. Il deputato Ncd fa un'analisi lucida sino ai processi al Cav. Peccato abbia rotto con Silvio

L'abbraccio tra sinistra e toghe che ha inquinato la democrazia

Ho letto un libro e questo mi consente di rovesciare due pregiudizi. Siccome capita raramente di stupirsi, provo a cominciare questa esperienza. E attacco dai sentimenti che, appreso di chi si tratta, pulseranno in chi mi sta leggendo. Il nome dell'autore, nonché il titolo del volume, sono tali da non suscitare l'entusiasmo nelle masse. Fabrizio Cicchitto è la firma apposta sulla copertina recante le seguenti parole: L'uso politico della giustizia. Che possono essere interpretate quale perentorio invito alla fuga dalle librerie. Introducono un tema per cui ci si scanna in tivù su fronti opposti da vent'anni; e le convinzioni pro e contro dei soggetti sono così radicate che nessuno sente il bisogno di disincagliarle iniettandosi 300 pagine e rotti di roba in politichese puro.

L'eventualità di essere trascinati a rivivere in poltrona una concione sui magistrati politicizzati in risposta a una intemerata sui politici impuniti, spaventerebbe Giobbe abituato a molte sventure. Fabrizio Cicchitto a sua volta è citato costantemente, da qualsiasi parte della barricata, da destra a sinistra, come esempio di vecchio arnese. È diventato un classico nei talk-show rinfacciare alla politica italiana di tenersi ancora tra i piedi uno come Cicchitto. I bravi conduttori lo chiamano sempre meno. Al massimo sono i tiggì a rilanciarne due rudi frasette piazzate a margine dei servizi. Il guaio è che, invece del senso del ragionamento, passa il tono, e lui è sempre ingrugnato: ciò non giova alla causa della sua popolarità.

Io però di Cicchitto ho nostalgia e, dopo aver letto questo libro, di più. Magari ce ne fossero altri di questo livello! Lo dico senza timore di esagerare. E l'ho verificato di nuovo, superando la ritrosia di cui sopra, appunto immergendomi nel suo nuovo volume. Del quale mi sbrigo a spiegare che, dopo la prima edizione del 2006, è stato aggiornato ai nostri tempi, e procede con passo svelto, spiegando finalmente cos'è veramente accaduto nei processi che hanno coinvolto Silvio Berlusconi sino alla clamorosa assoluzione in appello per il caso Ruby.

La politicizzazione della magistratura, l'uso politico della giustizia, appunto, a opera non solo delle toghe, ma del Partito comunista, ieri, e di certe frange della sinistra (e dintorni), oggi, sono raccontate e raramente teorizzate. Una materia che ritenevo ideologica, è risultata invece una sequenza di delitti, con killer e mandanti, che si scatenano in una narrazione senza tregua. Cicchitto gratta la superficie e scova nessi profondi tra il singolo processo e la volontà del Cremlino, tra il modo di agire di taluni Pm e gli interessi contingenti di Botteghe Oscure. Ma non disegna teoremi, organizza mosaici dove si capisce bene che la bilancia della giustizia è rossa.

Cicchitto ha il dono inaspettato di scrivere bene, e non si aggroviglia neanche troppo fra parentetiche e incidentali. Il fiume della sua prosa trascina nelle corti tribunalizie con l'impeto di un romanzo storico, che sarebbe più appassionante se riguardasse le vicende di un altro Paese. Invece è l'Italia e il (quasi) finale lo conosciamo: hanno appeso per i piedi Berlusconi con una sentenza, quella del caso Mediaset per frode fiscale, che più strampalata e assurda non avrebbe potuto essere. Con il guaio non solo di rovinare la reputazione di una persona del tutto estranea alla vicenda criminale, ma di inquinare irrimediabilmente la democrazia italiana. Ho scritto «(quasi) finale» perché poi c'è la sentenza di assoluzione per la storia di Ruby, e qui Cicchitto supera se stesso nel fare a pezzettini le tesi di Boccassini & C.

Sono sicuro che Fabrizio, dopo aver rumorosamente rotto con Berlusconi, vada avanti a dialogare col medesimo. Non è tipo che faccia dipendere il giudizio sulle persone e che muti idea sui fatti, a seconda del consenso o dissenso politico. Sappiamo che lui è tra i politicanti del Nuovo centrodestra meno teneri con Forza Italia, con cui esclude una ricongiunzione, eppure non gli si attaglia minimamente il titolo di traditore. Che ci vuoi fare: è innamorato della politica, la conosce, la sa leggere e descrivere. Lì è un gigante. Ma casca quando la fa. Temo persino le sue origini nella sinistra socialista lombardiana (dato biografico che lo accomuna al sottoscritto).

Come si è inteso, ho lasciato il libro sul comodino. E sono passato a Cicchitto. Per la sua postura fisica, ma anche per la gravità dei pensieri, figurerebbe degnamente in un film storico con la tunica del senatore romano. Il profilo è quello. Ne ha la serietà. I suoi libri storici sulle faccende della sinistra italiana (comunista e socialista) sono di valore assoluto. È un garantista che non muta opinione in base al colore politico dell'imputato. Credo però che gli abbia fatto molto male la poesia che gli dedicò a suo tempo il mio amico Sandro Bondi. Il quale, quando si invaghisce di una persona, la uccide di Baci Perugina, nel senso dei messaggi di carta velina che avvolgono i cioccolatini. Eccola: «Viviamo insieme questa irripetibile esperienza con passione politica con animo casto e con la sorpresa dell'amicizia. Ci mancheremo quando verrà il tempo nuovo e ci rispecchieremo finalmente l'uno nell'altro...». Termino qui perché il resto è coerente e immaginabile.

Tutto sommato, rileggendolo non è male come ritratto. Rimane il fatto che Cicchitto è intrattabile, incapace di farsi una decente campagna di pubbliche relazioni. Ma io lo considero un sottovalutato del centrodestra italiano. Anzi, della politica e della cultura d'Italia. Cicchitto, data di nascita 1940, dopo essere stato un enfant prodige dei socialisti, giurista ed economista, nonché politologo, incappò in un infortunio: si iscrisse alla P2. Gliela menano ancora oggi. Dimenticano che ha confessato l'errore subito ed è sparito per dieci anni. Dimenticano che gli iscritti alla P2 sono stati assolti due volte con formula piena. Se lui fosse rientrato a sinistra anziché a destra, avrebbe trovato un posto tra i maestri del pensiero. Non ha mai rinnegato Craxi, e questo lo ha pagato. Poi passò con Berlusconi.

La sua forza è stata ed è quella di farsi detestare da tutti, perché dice quel che pensa. È il motivo per cui mi piace un sacco. Adesso lui e Silvio si sono divisi. Confido in un loro riavvicinamento. Ma questa è pornopolitica, ed è un altro articolo.

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