Giuseppe Marino
nostro inviato a Accumuli (Ri)
All'Aquila il terremoto è arrivato il 6 aprile 2009 e non se ne è più andato. Non è solo perché si è portato via 309 persone, o perché la città non ha mai più riacquisito la sua forma, le sue abitudini, i suoi riti. E nemmeno perché la ricostruzione procede a rilento e si sta portando appresso anni di polemiche e processi. C'è qualcosa di più profondo, una consuetudine, quasi una confidenza cui la città si è abituata. Chi c'era se lo porta dentro e si comprende appieno solo con altri svegliati nella notte e scaraventati nella nuova città, nella nuova era dell'Aquila. Sono nati modi di dire, nomignoli quasi affettuosi per «Ju bottu», barzellette che passano di bocca in bocca. Il terremoto per gli aquilani è un capitolo aperto, un discorso da finire. Sarà anche per questo che nell'area colpita ieri, tra volontari e professionisti provenienti da tutta Italia, l'inconfondibile accento aquilano era tra quelli che si sentiva di più.
Il terremoto è tornato, a pochi chilometri da casa e gli aquilani sono venuti a riprendere il discorso. A partire dal sindaco, Massimo Cialente, lo stesso di allora, lo stesso che si trovò a fronteggiare la prima emergenza, le polemiche e la battaglia politica scatenata contro il governo di allora, il governo Berlusconi, all'epoca in cui anche una tragedia poteva diventare arma contro il nemico politico. Oggi qualche processo si è sgonfiato e quei veleni sembrano lontani. Tanto che nessuno si è stupito quando il sindaco, accorso ad Amatrice a offrire solidarietà, ha annunciato che L'Aquila avrebbe dimostrato una concreta solidarietà al paese sabino offrendo 250 posti negli alloggi rimasti liberi del Progetto Case, ovvero gli appartamenti fatti costruire a tempo di record dal duo Berlusconi-Bertolaso, investito per questo da una montagna di critiche e di accuse: costano troppo, dislocano la città fuori dal suo alveo naturale, non sono integrati col paesaggio e via polemizzando. Sei anni dopo, a quanto pare, quegli stessi alloggi saranno la prima sponda per sottrarre 250 sfollati alle tendopoli. Ma che importa, quello che conta ora è solo darsi da fare. «Perchè - ha detto l'assessore alla ricostruzione che lo accompagnava, Pietro Di Stefano, - appena sono arrivato ho capito che Amatrice è come Onna (frazione dell'Aquila spazzata via, con 41 morti). Ma oltre ad Amatrice il vero problema è tutto il gruppo delle frazioni che sono qui intorno, paesini che rischiano di essere spazzati via».
Tra i volontari che si sono precipitati nel reatino dall'Aquila persone che quella notte del 2009 erano in prima linea. Come Fulvio Di Carlo, il gigante che sfidò il terremoto. All'Aquila lo conoscono tutti, e non solo perché negli anni 70 e 80 era una colonna della nazionale italiana di rugby e della squadra orgoglio del capoluogo abruzzese. Una colonna di marmo con le gambe, ingegnere con una passione mai sopita per la palla ovale.
Quella notte del 2009 c'era anche lui con tutti i rugbisti della città, ore e ore in strada a scavare tra le macerie, prestando quei muscoli allenati a giocare per la partita più importante, salvare la gente. La partita che ha ricominciato ieri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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