Ma alla Lega stare con il Cav conviene

Salvini ha trascinato la Lega verso l'alto della classifica elettorale e vuole diventare il leader del centrodestra. Non sottovaluti il Cavaliere

Ma alla Lega stare con il Cav conviene

La notizia è di dominio pubblico, ma conviene ribadirla: Matteo Salvini, segretario della Lega, rimarrà alla guida del Carroccio sino al termine del 2016. Lo ha deciso il congresso a ragion veduta: il giovane leader milanese infatti si è meritato il prolungamento del mandato, avendo garantito al partito un numero di voti - alle europee - assai superiore a quanto ipotizzato. Alberto da Giussano, dopo il defenestramento di Umberto Bossi provocato dall'operazione «netà fò ol polér» (ripulire il pollaio), sembrava moribondo. I sondaggi lo davano in declino inarrestabile.

Poi Roberto Maroni fu eletto governatore della Lombardia (con i voti pesanti del centrodestra), e toccò a Salvini ricoprire il ruolo di condottiero delle camicie verdi. Da lui nessuno si aspettava miracoli. Al popolo padano sarebbe bastata la sopravvivenza, dato che il movimento, oltre che massacrato dalla magistratura (piccole ruberie ingigantite dai media), mostrava segni di sfiducia nel futuro, non foss'altro perché la Lega - scandalucci a parte - non aveva più un programma suggestivo da offrire alla base dopo la burla del federalismo. Il suo destino era segnato: una rapida estinzione per mancanza di consensi.

È successo il contrario. Salvini ha estratto il coniglio dal cilindro e ha trascinato i nordisti verso l'alto della classifica elettorale: tra il 6 e il 7 per cento. Chi avrebbe detto che questo giovanottone intelligente, ma inesperto, sarebbe stato capace di rianimare il cadavere? La sua arma vincente è stata la linea antieuro, anzitutto. Ma anche le prediche contro l'immigrazione incontrollata e la voracità del fisco lo hanno aiutato a vincere la diffidenza degli elettori. Ovvio che oggi il segretario insista e addirittura si proponga quale mosca cocchiera del centrodestra, un po' in affanno per via delle scissioni subite e delle tribolazioni giudiziarie di Silvio Berlusconi.

Il Matteo milanese, come quello fiorentino, gode di molte simpatie specialmente tra le nuove generazioni, ma anche tra gli anzianotti stanchi della vecchia politica e delle facce incartapecorite che la rappresentano. Egli ne è consapevole e, forse esagerando, chiede di assumere la leadership dell'opposizione che fino a novembre del 2011 fu maggioranza di governo. Probabilmente l'uomo non tiene conto degli ultimi sviluppi della situazione, per esempio dell'assoluzione in appello del Cavaliere (processo Ruby) che ha scombinato i giochi studiati - senza la presenza dell'oste - da molti personaggi aspiranti capi o capetti dello schieramento avversario del Pd renziano.

Naturalmente ignoriamo se Salvini confidi sul serio nella possibilità di scalzare l'ex premier, ma comprendiamo il suo desiderio di inserirsi nella rosa dei pretendenti al trono. Al quale, se ci punta un Alfano qualsiasi, non si capisce perché non possa mirare l'erede di Maroni e Bossi. La politica è fatta anche di bluff, che a volte si trasformano poi in progetti di qualche rilievo. Allo stato tuttavia è improbabile che il numero uno dei leghisti sia attrezzato per salire tanto in alto, anche perché un Berlusconi rivitalizzato dal recente verdetto di secondo grado sarà un osso duro.

Silvio scenderà nell'arena politica con grinta e non sarà semplice metterlo nel sacco.

Questo è bene che Salvini se lo ficchi in testa. Di un Cavaliere euforico conviene essere alleati piuttosto che «nemici». Nel frattempo osserviamo le manovre con curiosità, senza anticipare l'esito della pugna: mai dire mai.

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