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Legge elettorale. Ecco il piano per stoppare la maggioranza

Il centrosinistra punta a un pareggio per impedire a Meloni di governare

Legge elettorale. Ecco il piano per stoppare la maggioranza

In mezzo al grande salone di Palazzo Madama, Alberto Balboni, presidente della commissione Affari Istituzionali del Senato, non nasconde il suo scetticismo sulla possibilità di condurre in porto la riforma elettorale dopo la vittoria del "campo largo" in Campania e in Puglia. "Prima nel Pd erano possibilisti - confida - ora frenano. Hanno capito che con i collegi uninominali loro non vincono ma impediscono a noi di vincere al Senato".

Freddezza, appunto, è il sentimento che si avverte sul tema all'indomani del voto regionale nelle parole di Elly Schlein e di tutti i suoi. "Diremo no - taglia corto Igor Taruffi, detto Tarufenko nel suo ruolo di ideologo della segretaria del Pd -, perché dovremmo dire di sì? Gli uomini della Meloni ci spiegano che se non si cambia la legge elettorale non vince nessuno. Io sono convinto che vinciamo noi e allora perché dovremmo assecondarli". Discorso che rispunta pure sulla bocca del capogruppo del Senato, Francesco Boccia, che già immagina quali potrebbero essere gli alleati sul fronte del "no": "Sarà Salvini a non fargliela fare. A noi basta giocare di rimessa". Boccia però non sa che l'altra conseguenza delle regionali è che il leader della Lega si è convinto che il proporzionale non è il peggiore dei mali. "Queste elezioni - ha spiegato ai suoi Matteo il lumbard - dimostrano che possiamo andar bene anche con quel sistema".

In Italia basta un voto per far cambiare opinioni, calcoli e obiettivi in politica. Diciamo subito che l'argomento della modifica della legge elettorale non è di ora. Anzi. Quando un anno fa i poli da tre sono diventati due le vecchie volpi che albergano nel centro-destra, di scuola democristiana, hanno subito annusato il pericolo. "Ti ricordi - rammenta al sottoscritto Luciano Ciocchetti, dc finito alla corte della Meloni - che proprio nel novembre del 2024, alle prime avvisaglie di un'alleanza pd-5stelle, ti dissi che se non cambiamo la legge elettorale perdiamo tutti i collegi del sud e rischiamo di essere sconfitti. Lo hai pure scritto. Dopo le elezioni di ieri ne sono ancora più convinto".

Ora diciamo subito che non è detto che la sinistra con l'attuale legge vinca o che il centro-destra perda. È molto probabile, invece, che si arrivi ad un pareggio, con due maggioranze diverse nelle due Camere o a una vittoria striminzita che a quel punto metterebbe la palla nelle mani del Capo dello Stato: è la storia degli ultimi 14 anni. E certe attenzioni che il Quirinale ha ricevuto negli ultimi giorni probabilmente sono collegate proprio alla legge elettorale. Una legge che, evaporato salvo sorprese il "premierato", la Meloni vorrebbe a tutti i costi.

Solo che i nodi sono difficili da districare. La prima questione riguarda l'indicazione del premier: Forza Italia e leghisti non sono convinti e nel "campo largo" non scarseggiano gli scettici. Il ministro Calderoli si porta sempre dietro un video di you-tube nel quale si vede Sergio Mattarella, nel 2005 parlamentare della Margherita, stigmatizzare l'uso del termine "capo" nelle coalizioni e osservare che quell'indicazione "aggrava le prerogative del Presidente della Repubblica". Un gesto teatrale per dire che sull'argomento la Meloni non avrà un alleato sul Colle. E neppure nel Pd. "Sono solo deja vu - spiega Dario Parrini, esperto del partito di legge elettorali - che dimenticano i pronunciamenti della Consulta per la quale non si può indicare il premier, né introdurre un premio nazionale per il Senato".

A questa spina si aggiunge il problema della soglia che farebbe scattare il premio di maggioranza. Per essere chiari: sulla reintroduzione del proporzionale ci sarebbe una larga maggioranza in Parlamento, ma non se collegato ad un premio alla coalizione che scattasse sulla soglia del 40%. Gli stessi grillini che pure sono "proporzionalisti" sfegatati, hanno dubbi. "Il proporzionale a noi andrebbe benissimo - osserva Ettore Licheri, che riporta i ragionamenti di Giuseppe Conte - ma non debbono farla troppo sporca e un premio al 40% lo è. Sarebbe una truffa".

Già, sono pronti gli argomenti di scuola a sinistra per contestare la soglia del 40%. A cominciare dall'astensionismo dilagante. Federico Fornaro avverte che nelle ultime sei elezioni regionali sono mancati all'appello rispetto al passato 2 milioni 291 mila voti. "Significa - chiosa Graziano Delrio - che con un'astensione di queste dimensioni, che rasenta il 60%, rischiamo di dare il paese in mano ad una maggioranza che rappresenta solo il 25-20% di elettori ma che ha il potere di eleggersi da sola il Capo dello Stato e cambiare la Costituzione. Si può ragionare ma con un premio che scatta al 40% provocheremmo un guaio!".

Solo che se alzi troppo il premio, se lo fissi su una soglia che nessuna delle due coalizioni è in grado di raggiungere si tornerebbe al proporzionale puro, alla Prima Repubblica. Ecco perché per ora la legge elettorale appare più un pio desiderio che non un obiettivo facile da raggiungere.

C'è chi la considera essenziale come l'ex-presidente del Senato Marcello Pera: "Va fatta altrimenti non governerà nessuno". E chi invece la considera l'ultima chimera. "Al massimo Giorgia - sentenzia Matteo Renzi - potrà cambiare la legge di bilancio non la legge elettorale". Chi avrà ragione?

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