Marzio G. Mian
Si va verso uno show down istituzionale a Varsavia dopo la decisione del presidente della Repubblica Andrzy Duda, 45 anni, di porre il veto alla controversa riforma della Giustizia del governo della premier nazional sovranista Beata Szydlo: infatti la grande sorpresa di questa scelta, arrivata dopo una massiccia mobilitazione di protesta nelle piazze del Paese, è che il capo dello Stato è stato eletto nel 2015 dal partito Diritto e Giustizia (PiS) al potere e ha sin qui sempre appoggiato le decisioni dell'esecutivo.
Il vero confronto è tra Duda e l'uomo che oggi ha in mano la linea del governo, il conservatore ed euroscettico Jaroslaw Kaczynski. Appartenevano allo stesso partito PiS, ma, una volta eletto presidente, Duda si è definito indipendente. Tuttavia fino a pochi giorni fa si era detto favorevole a una profonda riforma del sistema giudiziario, tanto che anche a Bruxelles il capo dello Stato era visto come colui che poteva avvallare «la deriva autoritaria» di Kaczynski. Duda aveva addirittura rifiutato un incontro con il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ex Premier polacco e acerrimo nemico dell'attuale governo di Varsavia. Ieri il colpo di scena e la clamorosa scelta del veto, che fa presumere a uno scontro tra poteri.
Venerdì notte il Senato aveva approvato tre riforme. La prima affida al ministro della Giustizia, che in Polonia assume anche la carica di procuratore generale, il potere di prepensionare i giudici della Corte Suprema (ritenuti ostili al governo) e di rinominarli di suo gradimento; la seconda affida ai parlamentari il compito di indicare i componenti del Consiglio nazionale della magistratura che elabora le linee guida etiche e vaglia le candidature dei giudici ai vari livelli; la terza affida al ministro della Giustizia il diritto di nominare i capi delle procure e dei tribunali secondari. Duda ha posto il veto sulle prime due riforme, quelle accusate di sopprimere l'autonomia del sistema giudiziario perché lo pongono sotto il diretto controllo di quello politico violando la separazione dei poteri. L'Unione europea aveva minacciato sanzioni e di sospendere il diritto di voto della Polonia nelle sedi Ue (anche se l'Ungheria di Viktor Orban, stretto alleato di Varsavia soprattutto sul fronte anti immigrati, aveva già annunciato che avrebbe bloccato il provvedimento). Tusk aveva parlato di «scenario cupo che pone la Polonia fuori dalla democrazia». Nonostante il silenzio di Donald Trump durante la sua recente visita al paese europeo più vicino alla nuova amministrazione Usa, il Dipartimento di Stato aveva usato nei giorni scorsi parole perentorie di ammonimento. Ma soprattutto impressionante la mobilitazione in 120 piazze polacche, con giovani accampati da settimane davanti alle sedi istituzionali. Un'escalation di pressioni internazionali e tensioni culminate con la bocciatura del presidente Duda, in sostanza la prima sconfitta per il partito di Kaczynski da quando ha ottenuto la maggioranza nel 2015.
Ciò che pare aver maggiormente irritato il giovane capo dello Stato è il fatto di non essere stato consultato prima che il pacchetto di riforme venisse approvato alla Camera bassa per poi passare al voto del Senato. Ha contestato direttamente Kaczynski: «Il sistema giudiziario polacco deve prima di tutto garantire sicurezza. E nessun cambiamento del sistema legale dovrebbe aprire fratture tra società e lo Stato, dunque ho dovuto prendere la mia decisione dopo che le modifiche proposte hanno suscitato reazioni così sentite da molti cittadini». Pare che Duda avesse proposto un compromesso, l'adesione di almeno un altro partito all'indicazione dei membri del Consiglio nazionale della magistratura, i quali avrebbero successivamente nominato i componenti della Consulta.
Nessuno, nemmeno le opposizioni, mettono in dubbio la necessità di riformare il sistema legale, ritenuto anacronistico e lento, in contrasto con la dinamicità del sistema economico polacco. Quello che criticano e che alimenta sospetti è la grande fretta di approvare la riforma. Secondo il partito ultraconservatore di governo la giustizia è ancora uno strumento nelle mani dei post comunisti. Ad esempio sono i giudici stessi a decidere, caso per caso, quale giudice sarà incaricato di seguirlo, come accadeva anche in Unione Sovietica. La riforma prevede invece che la scelta sia ad estrazione. Anche sul fronte ideologico Duda è sembrato smarcarsi dalla linea del partito quando ieri in conferenza stampa ha spiegato come è arrivato alla decisione del veto.
«Ho trascorso il week end a consultarmi con giuristi, storici, filosofi.
Alla fine a convincermi è stata Zofia Romaszewska, la storica dissidente anticomunista». Che gli avrebbe detto: «Presidente, ho passato la vita in un regime dove il procuratore generale poteva decidere della vita e della morte di tutti. Non voglio tornare a quei tempi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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