Leo, 2 anni, ucciso con calci e pugni

Arrestati i genitori, incastrati dall'esito dell'autopsia: «Il corpicino era martoriato»

Leo, 2 anni, ucciso con calci e pugni

Nel giro di 48 ore la Procura di Novara è passata da un cauto «l'indagine è solo all'inizio...», a un deciso «il bambino è stato vittima di violenze multiple». Gli autori dei «colpi» che hanno causato la morte di «Leo», che a settembre avrebbe compiuto 2 anni, li stabiliranno i processi, ma intanto le manette sono scattate per i genitori del bimbo: la mamma, Gaia Russo, 22 anni, e il padre Nicolas Musi, 23 anni; la prima è agli arresti domiciliare perché incinta, il secondo è in carcere.

La svolta nella notte, con la coppia che non ha smesso di ripetere la propria «verità»: «È caduto dal lettino. Ha sbattuto la testa. Ed è svenuto, senza più riprendersi».

Una versione che l'esito dell'autopsia ora smentisce: «Sul corpo evidenti segni di percosse». Si ipotizzano «calci e pugni tali da provocare uno schiacciamento degli organi interni»; di qui «l'emorragia al fegato e il sopravvenuto decesso». La posizione giudiziaria dei genitori di Leonardo cambia e la convocazione in Procura si trasforma in arresto. L'accusa è da ergastolo, omicidio volontario, appesantito da ulteriori aggravanti: dal legame di sangue tra gli imputati e la vittima, alla probabile assunzione di cocaina che avrebbe fatto da detonatore all'aggressione contro il bimbo. La sua «colpa»? Piangere, «disturbando» il sonno del papà. Il ruolo dei genitori pare definito: il padre carnefice, la madre complice.

A carico di Musi risultano precedenti specifici per violenza, tanto che nei suoi riguardi - quando l'uomo risiedeva a Biella - era stato sollecitato (senza però mai essere attuato) un provvedimento di «sorveglianza speciale». Insomma, alle forze dell'ordine era noto che il Musi fosse un soggetto ad alto rischio, così come era noto l'uso che abitualmente faceva di droga. E qualche «tiro», forse, lo aveva fatto anche giovedì scorso, nell'appartamento popolare del quartiere Sant'Antagabio a Novara dove ha preso forma l'orrore: Leonardo che piange, il padre che si alza dal letto e gli sferra un calcio all'addome che non lascia scampo al piccolo. La mamma che non ha la forza o la possibilità di arginare l'azione criminale del marito e poi si rassegna a coprirlo con una serie di bugie.

Con due ore di ritardo rispetto al calcio fatale sferrato al figlioletto, la coppia chiama il 118. Ai soccorritori appare subito chiaro che quel corpicino «martoriato» (questo l'aggettivo usato nel corso dell'esame autoptico) non è compatibile con la ferita provocata da una accidentale caduta. Troppi lividi, troppi ematomi, troppe lesioni disseminati ovunque, a riprova di una «violenza pregressa», come l'ha definiti il procuratore capo di Novara.

Quando Leonardo arriva in ospedale in codice rosso è gravissimo, morirà dopo poco. Dietro la vetrata del reparto di terapia intensiva c'è il padre di Leonardo: quando gli dicono che per il figlio non c'è più nulla da fare, lui va fuori di testa, inveisce contro i medici, tira un pugno sulla porta a vetro e la fracassa. Arrivano i poliziotti, cercano di calmarlo. Intanto i sanitari riferiscono agli agenti di quei «brutti segni» sul corpo del bimbo. Scatto le indagini. I sospetti cadono subito sui genitori.

La versione della «caduta accidentale» non regge. A demolirla del tutto è l'esito dell'autopsia. Il pm interroga i genitori. Loro si avvalgono della facoltà di non rispondere.

Nicolas Musi ha il coraggio di dire al pm: «Ho la coscienza a posto».

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