È una domenica elettorale, ma a saperlo sono davvero in pochi. Avvolte nel silenzio, oltre che nel freddo di queste ore, si terranno oggi le elezioni per il rinnovo di decine di consigli provinciali. Le Province chiamate al voto sarebbero dovute essere 38, poi l'ondata di maltempo ha consigliato il rinvio a Pescara, Lecce, Foggia, Brindisi, Chieti e Isernia. Non solo: altre cinque province andranno al voto tra il 9 e l'11 gennaio, l'ultima il 29 gennaio. Così, con le 27 Province che hanno votato tra settembre e dicembre e le cinque che lo hanno fatto lo scorso anno, saranno rinnovati gli organi di 76 delle nuove Province con elezioni di secondo livello.
Ma cosa sono queste elezioni di secondo livello? Sostanzialmente politici che eleggono altri politici, ovvero il modello applicato al Senato qualora avesse vinto il «Sì» al ddl Boschi. A votare saranno 29.297 tra sindaci e consiglieri comunali di 2.427 comuni italiani. Alla fine a essere eletti saranno 458 politici. Il sistema è complesso perché ad essere eletto presidente della Provincia è il sindaco che consegue il maggior numero di voti «ponderati» (secondo il numero di abitanti).
Le Province, insomma, dopo due anni di promesse e annunci sono state sostituite da assemblee formate da sindaci, da un presidente e dal consiglio provinciale, formato dal presidente della Provincia e da un gruppo di 10-16 membri in base al numero degli abitanti della provincia eletti tra gli amministratori dei comuni interessati. Con la riforma Delrio le province sono passate da 107 a 97. Le dieci rimanenti non sono state eliminate, ma trasformate in altrettante città metropolitane, organismi sempre di secondo livello (Torino, Roma, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria). Per eliminarle del tutto non sarebbe bastata neppure la riforma costituzionale bocciata con il referendum che rimandava la sostanza a una nuova riforma.
Al di là delle procedure ci sono poi i problemi pratici. La Fp Cgil denuncia che «le Province sono in una situazione di collasso economico a causa dei tagli». Alle Province resta il perimetro delle funzioni fondamentali: viabilità, edilizia scolastica e ambiente. Su questi tre aspetti la Fp Cgil Nazionale ha raccolto dati dai quali emerge una situazione «profondamente compromessa». Sulla viabilità, su una rete di oltre 13mila chilometri, il numero di addetti alla manutenzione è passato da 1.095 nel 2008 a 708 nel 2016, per una riduzione di oltre il 35%; la spesa per la manutenzione ordinaria è scesa del 68% passando da 56 a 18 milioni, quella per la manutenzione straordinaria crollata da 148 milioni nel 2008 a 23,5 milioni nel 2016, per una riduzione dell'84%. I mezzi disponibili sono scesi da 885 nel 2008 a 632 nel 2016 e la stima sui tempi di rinnovo delle pavimentazioni passa da 5-10 anni medi del 2008 a 10-60 anni del 2016. Per quanto riguarda l'edilizia scolastica, invece, le Province gestiscono una mole di istituti scolastici di scuola secondaria ripartiti in 5.389 edifici, pari al 13% del totale degli edifici scolastici italiani. Scuole che accolgono oltre 2 milioni e mezzo di alunni, di cui 60mila con disabilità. Il numero di edifici sottoposti alla manutenzione è passato, nel corso degli ultimi dieci anni, da circa 4mila a circa 5mila e 400. Eppure la spesa continua a calare, di circa il 20% tra il 2013 e il 2015. Infine, sull'ambiente, il personale di Polizia provinciale, è passato dal 2008 al 2016 da 2.700 dipendenti a 709.
Dati che dimostrano come si renda «sempre più difficile garantire un servizio adeguato». Per queste ragioni il sindacato chiede l'azzeramento dell'ulteriore taglio di un miliardo, al quale sono sottoposti questi enti, previsto per il 2017.
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