Io giudice, dico che la maternità non può essere un dogma

Eduardo Savarese, magistrato e scrittore, scrive al Giornale il caso del piccolo Achille, figlio della coppia dell'acido

Caro direttore,

il bell'articolo di ieri di Vittorio Feltri mi suscita un commento. Le decisioni giudiziali che coinvolgono aspetti etici, soprattutto quando attinenti al nucleo primario della dignità individuale, sono per loro natura destinate a non trovare accoglienza unanime.

Ho scelto, da magistrato, di occuparmi appunto per questo della iper tecnica materia del diritto fallimentare e di tenermi lontano dalle angosce del diritto di famiglia. A confutare, nel caso del piccolo Achille, la bontà della richiesta del Pubblico Ministero di affidare il bimbo in adozione togliendolo definitivamente alla madre, si invoca la inseparabilità, a colpi di decreto tribunalizio, tra una madre e la sua neonata creatura in quanto rapporto naturale invincibile.

La posizione (che evoca il sempre suggestivo argomento sofocleo alla base della scelta morale di Antigone) è propria di quanti temono le aggressioni del progressismo democratico giudiziario: la comprendo e, per molti versi, la condivido.

Realizzare un mondo più giusto attraverso l'esercizio del potere senza dare il peso che meritano a Natura, Storia e Tradizione conduce a risultati folli, iniqui e di subdola violenza. Il diritto osserva l'umanità e ne regola la convivenza tanto meglio quanto più si conforma a concrete necessità, non ad astratti teoremi di perfezione, e sempre tenendo realisticamente conto di ciò che l'uomo è. Ma allora bisogna anche trovare il coraggio di dire che, se l'uomo è amore di madre per suo figlio, l'uomo è anche indifferenza di madre per suo figlio.

Il sentimento materno, universale quanto si vuole, soffre eccezioni e se non sappiamo dircelo con onestà dolorosa, esercitiamo una retorica brillante. Ma non la giustizia.

Prima di partire per le vacanze, per ragioni di volontariato, all'una di notte mi sono trovato in una casa famiglia con la polizia e l'assistente sociale di turno perché una madre ospite era intenzionata a gettarsi dal ballatoio con la bimba di quindici mesi.

Si trattava di una senza fissa dimora alla terza gravidanza alla quale già sono stati tolti i primi due figli. La donna ha rivelato che per lei la bimba era solo un peso e che di certo con quel gesto gliela avrebbero tolta. Ha aggiunto che in quel caso sarebbe subito ritornata in strada avendo molte faccende da sbrigare. I volti dei presenti non erano solo stanchi. Erano spaesati come sempre accade quando entriamo negli abissi del cuore umano.

Abissi incomprensibili, miserabili, bisognevoli di misericordia, di recupero, di sostegno. Abissi dove si annida la negazione della maternità intesa quale forma di amore, protezione, educazione verso le proprie creature. Abissi di certo non recuperabili sulla pelle di una neonata. Che non ha diritto ad una vita perfetta, ma di certo ha diritto a non sentirsi un ingombro e a ricevere, se possibile, un'educazione amorevole. È il diritto di Achille. Smettiamola con il dogma della maternità.

A questi bambini la sorte ha negato che l'idea di madre naturale si incarnasse nella loro genitrice. La giustizia supplisce offrendo l'opportunità, solo e almeno l'opportunità che un'altra madre diventi carne per loro.

Eduardo Savarese (magistrato e scrittore)

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