Esattamente come sei mesi fa. Come il 7 gennaio, quando al posto di una graffiante vignetta satirica del Charlie Hebdo la Francia si ritrovò in prima pagina il sangue di otto giornalisti, uccisi insieme con un manager, un poliziotto, una guardia del corpo e un portinaio. E come due giorni più tardi quando un altro tagliagole di Allah ammazzò prima una inerme vigilessa, poi quattro clienti ebrei di un negozio kosher di Porte De Vincennes.
Ieri il cupo metronomo del terrore è tornato a scandire le ore dei francesi. Stavolta vicino a Lione, nel Sud del Paese. Un attentato che nel piano delirante del kamikaze salafita avrebbe dovuto culminare in strage. Facendo esplodere una centrale di gas. Il caso, un po' di buona sorte e il coraggio di alcuni pompieri (un paio rimasti lievemente feriti) hanno limitato i danni. Il bilancio parla di un «solo» morto, i particolari sulla sua fine sono raccapriccianti. Una sequenza da horror: decapitato, la testa impalata sui cancelli della fabbrica, intorno due bandiere, una bianca inneggiante alla Shahada, la professione di fede islamica. L'altra nera, come l'Isis.
Il «jihadista», ancora una volta, non è arrivato da lontano, dalle terre martoriate dove il Califfato ogni giorno avanza nell'orrore. Né segretamente. Al contrario: si tratta di un «dormiente», uno del posto, come altri islamici nati e cresciuti nella Marianne e convertitisi al fanatismo dell'Isis. Se e quanti complici abbia avuto lo dovranno stabilire le indagini. Lui si chiama Yassine Salhi, 35 anni, residente a Saint-Priest, nella periferia di Lione. È stato arrestato dalla polizia dopo che i primi vigili del fuoco accorsi sul posto dopo il primo boato, erano riusciti a bloccarlo. L'obbiettivo era quello di far saltare in aria l'impianto di Saint-Quentin-Fallavier, azienda del gruppo americano Air Product, uno dei principali produttori al mondo di gas industriale. Una «fabbrica tra le fabbriche» nel parco industriale di Chesnes, all'interno del quale sorgono circa 400 imprese, tre delle quali ad «alto rischio» per il genere di materiali trattati, ovvero esplosivi o prodotti chimici. Un piano semplice e suicida quello di Salhi, dipendente di una ditta di trasporti, ma anche personaggio ben conosciuto alla intelligence francese su cui ora, inevitabilmente, monta la polemica. Dal 2006 il «fattorino» era stato infatti messo sotto osservazione per le sue tendenze oltranziste. Fino al 2008 il suo fascicolo era contrassegnato con una «S» dagli 007 francesi. Una categorizzazione che implica la sorveglianza più o meno ravvicinata, ma che negli ultimi tempi non era stata ritenuta evidentemente più necessaria.
Stessa leggerezza con cui i «servizi» d'Oltralpe avevano trattato il caso dei fratelli Kouachi, poi trasformatisi negli spietati killer di Charlie . Yassine Salhi, prima di partire per la sua guerra santa ha massacrato il suo capo cinquantenne, ne ha caricato il corpo mutilato sul furgone, poi, intorno alle 9.50 è entrato, con tanto di pass, nella fabbrica. Si è disfatto del cadavere, buttandolo a terra, ha appeso la testa mozzata su un'inferriata, quindi ha ammonticchiato delle bombole di gas ed è partito a tutta velocità colpendole col furgone. La prima «mini» esplosione ha fatto accorrere i pompieri, la cui stazione si trova ad appena 3000 metri di distanza. Ed è stato uno di loro - spiega lo stesso ministro dell'Interno Bernard Cazeneuve - a bloccare l'aspirante stragista.
Nelle ore successive la polizia ha fermato altre tre persone: la moglie di Salhi, madre di tre figli, la sorella e un'amica. Prima che i gendarmi la portassero in centrale - e mentre da Bruxelles il presidente Hollande tornava in tutta fretta nella sua Capitale -, al telefono l'aveva raggiunta un giornalista.
Si diceva incredula, lei, per il gesto di Yassine. «Non è un terrorista, stamane è andato al lavoro alle 7, come ogni giorno - diceva all'intervistatore -. Era tranquillissimo. Cosa ci faceva lui in quella fabbrica? Non lo so. Siamo musulmani, non fanatici...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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