Lo scontro tra il governo giallo-verde e la Commissione europea ieri ha raggiunto nuove vette. I due vicepremier hanno continuato a bombardare il presidente dell'esecutivo comunitario Jean-Claude Juncker, reo di aver rimproverato al governo Conte di volere «la fine dell'euro» aumentando il rapporto deficit/Pil oltre la soglia informalmente concordata e preconizzando una «crisi greca» per l'Italia. «Parlo con persone sobrie, che non fanno paragoni che non stanno né in cielo né in terra», ha replicato ieri Matteo Salvini aggiungendo che «siamo pronti a chiedere i danni a chi vuole il male dell'Italia». Sulla stessa lunghezza d'onda Luigi Di Maio che ha definito Juncker «non adatto» a guidare la Commissione Ue. «Non ci fermiamo davanti alle minacce, si sta dicendo a un governo eletto cosa deve fare», ha chiosato.
Con il ministro Tria, costretto a rientrare a Roma per salvare il salvabile, l'Ecofin che si è concluso ieri a Lussemburgo è stato una nuova seduta del processo in contumacia al nostro Paese. Per la Commissione europea, ha spiegato il vicepresidente Valdis Dombrovskis, «il problema sono le discussioni sul Documento programmatico di bilancio (che si accompagna alla manovra) che sembrano avviarsi in una direzione che va al di là della flessibilità». Per Bruxelles è inconcepibile che l'Italia non destini parte del proprio bilancio alla riduzione del debito, rischiando di contagiare gli altri componenti in caso di nuova crisi. «L'Italia è stata il Paese che più ha beneficiato di questa flessibilità: dobbiamo applicare le regole, dobbiamo applicare il Patto di stabilità ed è quello che la Commissione è pronta a fare» ha concluso ricordando che il nostro Paese «ha il secondo debito pubblico più elevato nella Ue dopo la Grecia ed è quello che più paga in termini di servizio del debito per cui deve avere un bilancio equilibrato per mantenere tassi di interesse a livelli bassi, accettabili». A Bruxelles, infatti, è trapelato il preoccupante quadro tendenziale del deficit/Pil che si impennerebbe fino al 2,8% nel 2021.
Così anche il presidente di turno dell'Ecofin, il ministro austriaco (perciò non ostile al governo populista) delle Finanze, Hartwig Löger, ha auspicato un passo indietro dell'Italia. «Abbiamo regole comuni e mi aspetto che Giovanni Tria, dopo tutti i bilaterali di ieri, sia pronto a rafforzare la discussione anche a livello italiano», ha dichiarato confermando che il titolare del dicastero di Via XX Settembre è stato rispedito in patria per convincere i due vicepremier a cambiare tutta l'impostazione della manovra. Löger ha invitato anche gli investitori a mantenere la calma. «Teniamo a mente che è il 15 ottobre la data in cui si può decidere in che direzione si può reagire» alla manovra italiana, ha precisato. Il ministro austriaco non ha fatto che preannunciare l'intenzione della maggioranza dei partner europei: aspettare la presentazione della manovra vera e propria (visto che è saltato l'appuntamento con la Nota di aggiornamento del Def) per formulare le rimostranze. La Commissione, entro fine ottobre, potrebbe inviare una lettera di richiamo oppure respingerla in toto e pretendere la riscrittura del Documento programmatico di bilancio. La valutazione definitiva è attesa comunque entro la fine di novembre.
Il presidente della Bce, Mario Draghi, sta seguendo da vicino l'evolversi della crisi italiana in quanto lo spread Btp-Bund sopra i 300 punti base e l'avvicinarsi della fine del quantitative easing a fine anno potrebbero creare turbolenze notevoli a inizio 2019. La forza politica ed elettorale dei populisti spinge tutti alla prudenza.
Il capogruppo del Ppe, Manfred Weber (candidato di punta alla presidenza della Commissione) ieri non ha esternato proprio per non attaccare l'Italia dell'amico Antonio Tajani. Il presidente del Parlamento Ue ieri ha esposto al ministro degli Affari europei Savona le preoccupazioni dell'Europa. Salvini e Di Maio, per ora, fanno orecchie da mercante.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.