Il neo sultano Recep Tayyip Erdogan è pronto a chiedere al parlamento l'invio di 5mila soldati turchi in Libia al fianco del governo di Fayez al Serraj riconosciuto dall'Onu e appoggiato dall'Italia. La mozione sarà presentata il 7 gennaio e il voto dovrebbe tenersi l'8 o il 9 in concomitanza con la visita del presidente russo Vladimir Putin. Il Cremlino, al contrario, preferisce il generale Khalifa Haftar che da 9 mesi assedia Tripoli. L'Italia sventola inutilmente la bandierina della diplomazia, in vista della conferenza di Berlino, che dovrebbe tenersi a metà gennaio. Solo nelle ultime ore sono trapelate dichiarazioni governative che fanno pensare a qualcosa di più muscolare come una «no fly zone» assieme a Germania e Francia. Meglio che niente, ma non facile da realizzare soprattutto tenendo conto che gli aerei radar Awacs, alla base di un'operazione del genere, sono della Nato e la Turchia fa ancora parte dell'alleanza. L'unica, vera, soluzione concreta sarebbe una forza di interposizione militare europea a guida italiana da schierare fra i due contendenti nei quartieri periferici della capitale per imporre un cessate il fuoco. E poi iniziare le trattative per una soluzione negoziale sul futuro del paese.
Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, in visita al nostro contingente in Irak, alla vigilia di Natale, ha dichiarato al Corriere della sera: «C'è bisogno di una forte iniziativa diplomatica europea che per essere efficace non può che passare anche dall'imposizione di un cessate il fuoco». La tregua non si riuscirà ad ottenere a parole, ma forse non basterà una no fly zone che blocchi, almeno in parte, l'arrivo delle armi dai Paesi arabi e non solo coinvolti nel conflitto in Libia.
«I piani come si deve su possibili scenari di intervento sono stati preparati nei dettagli quattro anni fa. Poi si è fermato tutto per motivi politici» spiega una fonte militare de il Giornale. Il problema è che «da allora si registrano solo chiacchiere. Gli ultimi tre governi si sono sempre rifiutati di prendere in seria considerazione l'opzione militare».
Ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha chiamato al telefono Putin. Il Cremlino ha espresso il suo disappunto su «ingerenze di paesi terzi» nel quadro libico riferendosi alla Turchia. Un migliaio di contractor della società di sicurezza russa Wagner sono sul terreno al fianco dei combattenti di Haftar, che sono decisi ad avanzare verso il centro di Tripoli. E sono arrivati anche mercenari sudanesi sempre più numerosi. Putin e Conte terranno «un aggiornamento costante in considerazione della importanza strategica che la Libia riveste per gli interessi anche italiani». Il premier del governo giallo-rosso ha parlato telefonicamente anche con il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi. L'uomo forte del Cairo ha ribadito «il sostegno all'Esercito nazionale libico» del generale Haftar «nella sua lotta al terrorismo». Sul terreno l'intelligence teme che in caso di sbarco turco in Libia i carri armati egiziani entrerebbero da Est provocando un vasto conflitto regionale.
Ankara e Tripoli hanno firmato il 27 novembre un memorandum sulla sicurezza, che prevede l'invio di consiglieri, corpi speciali e armi. Il voto del parlamento turco in gennaio renderà possibile lo sbarco di un vero e proprio contingente su richiesta del governo libico. L'architetto dell'intervento è il ministro degli Interni Fathi Bashagha, che prima aveva chiesto armi all'Italia senza ottenere risposta. In realtà Tripoli non avrebbe ancora avanzato la richiesta ufficiale di intervento, ma proprio ieri Bashagha ha spiegato che «in caso di escalation» del conflitto «il governo di accordo nazionale di Tripoli chiederà ufficialmente il sostegno della Turchia». Ai primi di gennaio una missione europea in Libia cercherà di imporre una tregua, ma senza la forza della armi sarà ardua.
Non a caso si ripongono più speranze nell'incontro fra Erdogan e Putin l'8 gennaio per l'inaugurazione del gasdotto Turk Stream. Russi e turchi si sono già spartiti una fetta di Siria e potrebbero fare lo stesso con la Libia.
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