Libia, salta il summit per la pace. E l'Isis torna nelle terre di Haftar

L'Onu cancella la conferenza di Ghadames di domenica Il Califfato assalta un villaggio a sud di Tripoli: tre morti

Libia, salta il summit per la pace. E l'Isis torna nelle terre di Haftar

lo Stato islamico rialza la testa in Libia approfittando del caos e colpisce nel centro del paese controllato dal generale Haftar. Le Nazioni Unite gettano la spugna rimandando sine die la conferenza di Ghadames sul futuro della Libia. È la dimostrazione del fallimento dell'Onu.

Le cellule superstiti del Califfato hanno attaccato nella notte di lunedì il villaggio di Al Fuqaha, 660 chilometri a sud est di Tripoli. Una quindicina di mezzi colmi di uomini armati che sventolavano le bandiere nere hanno preso il controllo del centro abitato per diverse ore. Il sindaco è stato passato subito per le armi e la sede della guardia comunale espugnata. Alte due persone sono rimaste uccise e diverse rapite. L'azione di forza dimostrativa, rivendicata dall'Isis, «è una vendetta» per le sconfitte subite in Siria. I tagliagole avevano attaccato lo stesso villaggio lo scorso anno. Poche centinaia di terroristi sono riusciti a fuggire nel 2016 alla caduta di Sirte, l'ex capitale delle bandiere nere in Libia. I resti dell'Isis sono annidati nel sud desertico della regione del Fezzan ogni tanto colpiti da bombardamenti dei droni Usa.

Il villaggio si trova nel distretto di Jufra, sotto il controllo delle truppe del generale Khalifa Haftar, che sta avanzando su Tripoli. L'obiettivo non è stato scelto a caso. Jufra è una via giugulare di rifornimento per l'autoproclamato Esercito nazionale libico lontano dalla roccaforte della Cirenaica. I rifornimenti vengono colpiti dagli aerei governativi che decollano da Misurata. Haftar vuole premere su questo fronte verso Sirte conquistata dai misuratini. In questa maniera le colonne che stanno dando man forte alle milizie governative a Tripoli potrebbero ritirarsi per difendere la propria città stato e Sirte allentando le difese della capitale. Ieri è arrivata a Tripoli l'ennesimo colonna da Misurata guidata da Salah Badi, protetto dai turchi, che aveva combattuto al fianco del deposto governo dei Fratelli musulmani. Il premier in carica, Fayez al Serraj ha chiesto alla procura militare di emettere dei mandati di cattura contro Haftar e i suoi generali accusandoli di «crimini di guerra». I combattimenti continuano soprattutto lungo la direttrice di penetrazione da sud nella zona di Ain Zara a una manciata di chilometri da Tripoli. L'aerea dell'aeroporto internazionale, chiuso dal 2014, è stata bombardata dai caccia di Haftar. Nella capitale lo scalo di Mitiga ha riaperto ai voli solo notturni.

L'inviato dell'Onu, Ghassan Salamé, ha cancellato la conferenza di riconciliazione nazionale che doveva tenersi a Ghadames, al confine con la Tunisia, dal 14 al 16 aprile, a causa dei combattimenti. Serraj ha parlato al telefono con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ringraziando l'Italia per il sostegno. Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha avuto conversazioni telefoniche con il capo del governo libico, il segretario delle Nazioni Unite e il generale Haftar. L'uomo forte della Cirenaica è sempre stato appoggiato da Jean-Yves Le Drian, oggi ministro degli Esteri di Parigi, fin da quando era responsabile della Difesa con la presidenza di Francois Hollande.

A causa degli scontri attorno alla capitale sono stati trasferiti 150 migranti da un centro di detenzione governativo di Ain Zara. Però altri 600 detenuti lungo la strada per l'aeroporto si trovano fra due fuochi.

Il caos libico espone l'Italia «non solo dal punto di vista economico, ma anche politico e umanitario», è convinto Mario Morcone, ex capo di gabinetto del Viminale e attuale direttore del Consiglio italiano per i rifugiati. Per Morcone «la situazione sta degenerando e dobbiamo prepararci alla possibilità di un aumento delle partenze di migranti verso l'Italia».

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