L'immigrazione spinge la Brexit: «Confini blindati come l'Australia»

I sondaggi danno il fronte euroscettico in rimonta, addirittura al sorpasso. Boris Johnson come Farage: sistema a punti per gli stranieri. Ma Cameron conta sul fattore economico

L'immigrazione spinge la Brexit: «Confini blindati come l'Australia»

L'incubo della recessione economica da una parte. Il pericolo di un'invasione di immigrati dall'altra. Mancano tre settimane al referendum con cui il 23 giugno gli inglesi decideranno se restare nell'Unione europea o imboccarne la via d'uscita, la Brexit. E per tentare di imprimere una svolta sull'esito del voto, i due fronti opposti agitano i temi più sentiti dall'elettorato. Il primo ministro David Cameron punta tutto sull'economia, la carta che gli ha garantito la riconferma al governo di Londra per il secondo mandato consecutivo. E avverte: «Se uscissimo dalla Ue, i conti del Regno Unito sarebbero in serio pericolo e il Paese si impoverirebbe in maniera permanente». Inutile allarmismo, replica il diretto rivale, l'ex sindaco di Londra Boris Johnson. Che nel ruolo di paladino pro-Brexit sfodera invece l'asso immigrazione e promette che se l'uscita ci sarà, lo stop alla libera circolazione delle persone sarà la prima importante conseguenza, insieme con l'introduzione di un sistema a punti sul modello australiano, per contenere i numeri degli immigrati. Non solo. Agli stranieri in entrata sarà chiesto di provare un buon livello di conoscenza della lingua inglese. «Fanta-politica», attacca il ministro delle Finanze George Osborne in un botta e risposta che assomiglia più a uno scontro con l'Ukip di Nigel Farage che a un confronto interno fra pesi massimi dello stesso partito.

L'ultimo sondaggio diffuso dal Guardian dice che a spuntarla, negli ultimi giorni, è stato il dossier immigrazione del conservatore Johnson e del ministro della Giustizia Gove. Non a caso l'istituto Icm dà gli euroscettici avanti con il 52% contro il 48% degli elettori pro-Ue. Eppure potrebbe trattarsi solo di un'illusione del momento. Anche Orb per il Telegraph registra una forte spinta a favore dell'uscita dall'Unione (+8% rispetto alla scorsa settimana) ma il sì all'Europa ancora davanti (51% a 46%). La media dei sondaggi, alla fine, continua a dare in vantaggio i contrari all'addio a Bruxelles (46% contro il 43%). Numeri comunque risicati, non solo incerti, che dimostrano come la campagna elettorale sia ancora tutta da giocare. E come alla fine il referendum non deciderà solo del futuro del Regno Unito nella Ue ma anche degli equilibri interni al Partito Conservatore.

Gli inglesi sposeranno la linea del biondo Johnson, che allo status quo preferisce una svolta netta ma finisce per assomigliare sempre di più all'euroscettico Farage? Oppure sceglieranno la vecchia strada garantita dal premier Cameron e appoggiata dal 90% degli economisti (sondaggio Ipos-Mori per l'Observer), dall'Ocse (che prevede uno choc negativo in caso di Brexit) e pure dal Wto (che paventa una «forte battuta d'arresto» in caso di uscita)? Vincerà la paura degli immigrati o quella della recessione economica? Il risultato è che a Londra, come in ogni duello politico che si rispetti, già si parla di una fronda interna che minaccia di mettere a rischio il ruolo del capo del governo. In realtà i numeri dei frondisti sono davvero esigui. Ma se gli euroscettici vincessero, Cameron dovrebbe rispondere inevitabilmente dell'esito del voto. Intanto Johnson, con la sua idea di un sistema a punti (peraltro considerato inadeguato per il Regno Unito, che a differenza dell'Australia non ha bisogno di aumentare la sua popolazione) parla già come successore del premier.

Il rischio di una guerra in Europa sventolato da Cameron per convincere gli elettori a votare a favore della permanenza nella Ue si è trasformato in una guerra sì, ma tutta interna ai Tory. Racchiusa nell'immagine emblematica dei due rivali di ieri, il neoeletto sindaco di Londra Sadiq Khan e il premier Cameron, fianco a fianco nella campagna pro-Ue per le vie di Londra.

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