L'imperatore e l'Occidente nel mirino

La Cina sono io. Xi Jinping non deve manco dirlo.

L'imperatore e l'Occidente nel mirino

La Cina sono io. Xi Jinping non deve manco dirlo. Per capirlo basta la brutale freddezza con cui volta le spalle all'ex presidente e predecessore Hu Jintao trascinato fuori dalla Grande Sala del Popolo sotto gli occhi impassibili dei 2mila delegati del Ventesimo Congresso. La plateale espulsione, voluta probabilmente dallo stesso Xi, rappresenta il monito finale di un Congresso usato per far pulizia di chiunque non condividesse la linea del nuovo imperatore. Ora quella linea deve far paura soprattutto a noi. I metodi spregiudicati usati sul fronte interno per togliere di mezzo chiunque gli impedisse un totale controllo del Partito o chi, sul fronte economico e finanziario, tentava di sottrarsi alle pastoie della dirigenza comunista sono gli stessi con cui Xi cercherà di piegare il resto del mondo. Per capire quanto siano pericolose le sue ambizioni internazionali basta il «cursus honorum» con cui ha cesellato il proprio potere interno. Dopo aver abolito il limite dei due mandati e trasformato il proprio pensiero, sulla scorta di quanto aveva fatto Mao, in dettame costituzionale ha utilizzato questo Congresso per elevarsi al rango di divinità comunista. I due «fondamenti» e le due «garanzie» approvate nella Grande Sala del Popolo gli assegnano oltre al ruolo di presidente della Cina, segretario del partito e capo dell'Esercito anche il riconoscimento di «nucleo» essenziale del partito ovvero di grande e supremo ideologo. Come dire che è il suo pensiero, e non più quello del partito, a plasmare il futuro della Cina. Un riconoscimento che potrebbe venir suggellato già oggi, con il conferimento a Xi di quel titolo di leader del Popolo riconosciuto fin qui solo a Mao Tze Tung. Questa smodata rincorsa del potere non si esaurirà sui confini interni. Per dimostrare di essere veramente la reincarnazione del Grande Timoniere, Xi deve innanzitutto dar seguito alla promessa di riconquistare Taiwan. Un impegno ribadito anche ieri promettendo «risoluta opposizione e deterrenza nei confronti dei separatisti che cercano l'indipendenza». E visto la spietata determinazione con cui ha schiacciato prima la resistenza del Tibet e poi quella di Hong Kong ben pochi sono disposti a scommettere su atteggiamenti più remissivi su Taiwan. Ma le sue mire non si fermano certo lì.

Il «grande ringiovanimento della nazione cinese» auspicato da Xi entro il 2049 indica, per sua stessa ammissione, la volontà di eguagliare e superare gli Stati Uniti sul fronte economico, militare, comunicativo e diplomatico. Ovvero dominare tutti noi.

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