L'inchiesta fantasma sul Milan Bruti conferma: non c'è nulla

Il procuratore capo rassicura i legali di Berlusconi: si indaga sui diritti tv ma nel mirino non c'è la cessione delle quote del club rossonero a Mr. Bee

L'inchiesta fantasma sul Milan Bruti conferma: non c'è nulla

Milano - Non si incontravano da tempo, Niccolò Ghedini e Edmondo Bruti Liberati. E da ancora più tempo l'avvocato «storico» di Silvio Berlusconi non lasciava la stanza del procuratore della Repubblica di Milano con un'aria così distesa. Il motivo? Uscendo, Ghedini non rilascia dichiarazioni. Ma a confermare l'ipotesi più ovvia, ovvero che si sia parlato dell'inchiesta che secondo Repubblica la Procura starebbe conducendo sulla scalata al Milan da parte di Bee Taechaubol provvede poco dopo lo stesso Bruti. A Ghedini, né Bruti né il suo «vice», il procuratore aggiunto Giulia Perrotti, che l'avvocato incontra poco dopo, hanno dato motivo di preoccuparsi. Non c'è una inchiesta sulla cessione (ancora non avvenuta, peraltro) del 48 per cento delle azioni rossonere al finanziere thailandese. Esiste, invece, l'altra inchiesta di cui ha parlato il quotidiano romano, ovvero quello sull'accordo tra Mediaset e Sky per spartirsi il calcio in tv, e che vede i manager delle due tv (e quelli di Infront, la società che gestisce il colossale affare) sotto tiro per ostacolo alla vigilanza. È possibile che in queste carte si incroci qualche riferimento alla trattativa Berlusconi-Taechaubol. Ma, come si era già detto ieri, «non ci sono ipotesi di reato specifiche». E anche la dottoressa Perrotti, che coordina il pool antitangenti, incontrando i giornalisti poco dopo, conferma l'esistenza della prima inchiesta ma non della seconda.

L'affare si sgonfia, insomma? È presto per dirlo. Di notizie smentite ufficialmente, ma poi rivelatesi vere, è piena la storia delle vicende giudiziarie: anche se negare a Ghedini sarebbe, da parte dei pm, un po' più scorretto che negare ai giornalisti, nel caso qualcosa in realtà ci fosse. In attesa di capirci qualcosa, il punto fermo che emerge ieri è l'inchiesta sulla presunta «cupola» che si sarebbe spartita l'affare dei diritti. Questa inchiesta, affidata ai pubblici ministeri Roberto Pellicano e Giovanni Polizzi, oltre al reato di ostacolo alla vigilanza, potrebbe riservare anche qualche altra sorpresa: tanto che viene coordinata dalla dottoressa Perrotti, che si occupa di corruzione e non di reati finanziari. Una ipotesi è che, approfondendo l'istruttoria che già l'Antitrust aveva aperto nella primavera scorsa, i pm abbiano trovato tracce di tangenti versate per addomesticare l'asta. Come è noto, lo scontro tra Sky e Mediaset si risolse con una pace armata che lasciava sia a Sky (per il satellite) sia a Mediaset Premium (per il digitale) i diritti delle 8 squadre più appetibili della serie A.

L'indagine avrebbe portato sia il Garante che la Procura a quantificare in circa 150 milioni di euro il danno che la Lega Calcio avrebbe subìto per via del «cartello» tra le due pay tv. Poi, a cavallo dell'estate, l'inchiesta milanese è andata avanti. E qui, secondo le ipotesi circolata nei giorni scorsi, avrebbe incrociato una storia complessa e abbastanza affascinante, quella del barone svizzero Filippo Dollfus de Volkersberg, accusato di essere al centro di ingenti operazioni di riciclaggio. Nelle carte di Dollfus, i pm avrebbero trovato gli spunti per rilanciare l'inchiesta sui diritti tv, e da lì spunterebbero anche le tracce dell'affare Berlusconi-Taechaubol.

Ma anche su questo scenario ieri piomba una smentita: il legale del barone elvetico, Paolo Tosini, esclude che «vi sia alcun collegamento tra le dichiarazioni rese dal mio assistito e l'indagine parallela e del tutto autonoma, che non ha preso le mosse dai suoi verbali, e relativa alla vendita dei diritti tv del calcio e men che meno tra le sue dichiarazioni e la cessione di quote del Milan».

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