Tabula rasa del centrosinistra in Veneto, Sicilia e Lombardia, con una disfatta anche a Milano, ormai ex roccaforte Pd che potrebbe garantire, se va bene, solo un paio di seggi. Questo è il sogno coltivato - dati alla mano - dal tridente Forza Italia-Lega-Fdi, e corrisponde all'incubo che agita i sonni di Matteo Renzi e dei suoi.
Il voto del 4 marzo 2018 potrebbe regalare al centrodestra un cappotto siciliano moltiplicato per tre. Se il clamoroso 61-0 del 2001 in Sicilia è passato alla storia della politica italiana risultando decisivo per la vittoria della Casa delle Libertà, stavolta potrebbero essere addirittura tre regioni ad assicurare ai moderati una pioggia di seggi uninominali, confinando gli altri due poli alla sola ripartizione proporzionale.
Mancano 8 settimane al voto del 4 marzo. E mancano soprattutto i nomi dei candidati che dovranno contendersi i collegi assegnati con criterio maggioritario. Non sono un dettaglio. Eppure gli «sherpa» elettorali dei partiti, ovviamente già al lavoro sui dati che incrociano i sondaggi più recenti con i risultati delle ultime consultazioni elettorali, stanno già prospettando scenari ben precisi. La Sicilia, storico laboratorio politico elettorale, è stato teatro dell'ultimo rilevante appuntamento elettorale, con la netta affermazione di Nello Musumeci alle Regionali. E le simulazioni sull'isola (che mette in palio 19 seggi uninominali alla Camera e 9 al Senato) oggi assegnano al centrodestra la gran parte delle sfide testa a testa, con qualche residuale, possibile affermazione del Movimento 5 Stelle.
In Veneto, da sempre, la sinistra non tocca letteralmente «palla». Con Forza Italia prima e la Lega poi, il centrodestra ha ereditato lo storico blocco sociale che nella prima repubblica guardava alla Dc. Il dominio del Polo-Casa della Libertà si è sempre confermato, fino alle percentuali siderali con cui l'attuale governatore, Luca Zaia, ha sbaragliato i concorrenti alla presidenza della Regione. Ultima tappa di questo ininterrotto dominio è l'esito del referendum sull'autonomia, che ha visto andare al voto il 57% dei veneti, con un Sì al 98%. Il referendum del 22 ottobre ha confermato anche in Lombardia una tendenza decennale, con la parziale eccezione di Milano. Renzi alle Europee 2014 ha trionfato nel capoluogo e due anni dopo, alle Comunali, si è salvato politicamente solo grazie al centro di Milano, decisivo per la vittoria di Beppe Sala (il commissario Expo allora vagamente renziano, oggi per niente). In quella fase, l'allora presidente del Consiglio e leader Pd si era molto dedicato alla costruzione di un particolare feeling politico-emotivo con la città, storicamente deputata a consacrare tutte le grandi novità politiche italiane. Ma già in quelle Comunali il Pd aveva subito una débâcle nei quartieri periferici un tempo rossi (5 sconfitte su 8 nei Municipi). Anche nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, quello del crollo, il centro di Milano era stato una delle pochissime oasi di Sì in un mare di No. Ora si va oltre.
Oggi, complice anche la scissione a sinistra, il Pd potrebbe perdere ovunque: non solo nelle periferie arrabbiate per il degrado e la difficile integrazione dei migranti, ma anche nel benestante centro, anche perché il collegio Milano 12 è più esteso del Municipio 1 e comprende un pezzo di «periferia». Le speranze del Pd sembrano ridotte al collegio semicentrale Milano 13, e a quello di Sesto San Giovanni, altra roccaforte rossa ormai caduta e fiaccata da defezioni e astensione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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