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La linea comune di Merkel, Macron e May: "Sull'Iran non si cambia, Trump fermi i dazi"

Spaccatura con Washington, pronta invece alla resa dei conti con Teheran

La linea comune di Merkel, Macron e May: "Sull'Iran non si cambia, Trump fermi i dazi"

Ora che Kim Jong-un ha smesso i panni del nemico pubblico numero uno, sull'agenda di Donald Trump balza nuovamente in primo piano l'affaire Iran. Il tema è quello solito: essendo assolutamente necessaria la figura di un Cattivo da additare all'opinione pubblica, Trump si interroga su quale sia il modo migliore per neutralizzare il regime degli ayatollah, che come nemico pubblico non è mai passato di moda, a Washington e dintorni.

Di questo della «crescente aggressione» iraniana e della necessità di ridurre a più miti consigli gli inturbantati di Teheran- hanno parlato ieri sera a Gerusalemme il neo segretario di Stato Usa Mike Pompeo, giunto in Israele dall'Arabia Saudita, e il premier Benjamin Netanyahu. A Riad, dove ha incontrato il re e il principe ereditario Mohammed Bin Salman, l'inviato di Trump ha sfondato porte aperte, accusando l'Iran di destabilizzare la regione col suo sostegno alla Siria di Bashar al Assad e ai ribelli sciiti dello Yemen. Tema delle consultazioni di Pompeo con i sauditi e gli israeliani è naturalmente l'accordo sul nucleare iraniano. «Tema su cui ci sarà una decisione presto», si è rallegrato Netanyahu, che spinge sull'alleato americano perché con Teheran non vi sia alcun accordo, e anzi si annulli quello esistente.

Ed è su questo che ora si registra una evidente spaccatura fra gli Usa di Trump, pronto a impugnare il randello e l'Europa di Macron, della Merkel e della May, che sull'argomento si sono lungamente consultati al telefono condividendo cautela e attendismo, privilegiando i passi felpati, non disgiunti all'occorrenza dalla necessaria fermezza, della diplomazia. Per Francia, Germania e Inghilterra, (assai critici sui dazi commerciali voluti da Trump) l'accordo attuale è il modo migliore per evitare che Teheran si doti dell'atomica. Si potranno discutere i termini dell'intesa, ragiona Macron, e forse apportare delle modifiche al trattato, convengono la May e Angela Merkel, quando giungerà a scadenza nel 2025. Ma l'amministrazione Usa non intende aspettare. E la tournèe di Mike Pompeo in Medio Oriente (dopo Israele visiterà la Giordania) ha tutta l'aria di voler preparare il terreno a una imminente resa dei conti.

Trump ha tempo fino al 12 maggio per decidere se reintrodurre le sanzioni sul nucleare a Teheran, mettendo di fatto in pericolo l'accordo sul nucleare firmato tre anni fa dall'Iran e dai Paesi del 5+1. Accordo che più volte Trump ha definito «un disastro». E che ora intenda gettarlo a mare è la sensazione che anche Emmanuel Macron ha riportato dalla sua recente visita alla Casa Bianca.

«Diversamente dalla precedente amministrazione va ripetendo Pompeo da Riad a Gerusalemme- noi non trascureremo la portata del terrorismo iraniano. L'Iran è il più grande sponsor del terrorismo nel mondo e noi siamo determinati ad assicurarci che non entri mai in possesso di armi nucleari. L'accordo nelle sue forme attuali non fornisce questa assicurazione».

Più che il nucleare iraniano, tuttavia, l'Europa sembra temere i dazi Usa su acciaio e alluminio. Francia, Germania e Inghilterra sono concordi, sul punto. Se la politica dei dazi investirà anche la Ue, dicono a Parigi, Berlino e Londra, l'Europa prenderà tutte le misure necessarie per difendersi.

Come dire: se Trump cerca alleati nella sua campagna anti-Iran non sarà così stolto da mettere in difficoltà l'economia del Vecchio Mondo.

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