«I l terrorismo islamico non esiste». E comunque «dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano» col quale non si può neanche «intavolare una discussione»; il terrorismo «è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella». Non sono i deliri di qualche testa calda dell'islamismo, è puro «distillato» del 5 Stelle-pensiero: analisi firmate dai due massimi esponenti del Movimento grillino in fatto di politica estera, Alessandro Di Battista e Manlio Di Stefano.
Oggi vengono infatti scandagliate le posizioni dei «ministri» di Luigi Di Maio. È accaduto anche all'economista Lorenzo Fioramonti, indicato per lo Sviluppo economico: la sua scelta ha sollevato «inquietudine e indignazione nel mondo ebraico» ed è stata definita «pessima, estremista, odiosa» dal presidente dell'Unione delle associazioni pro Israele, l'ex radicale Alessandro Litta Modignani. Dal canto suo, l'aspirante ministro, accusato di simpatie per il boicottaggio anti-Israele, ha replicato categorico: «Non ho mai sostenuto alcun boicottaggio - ha detto - non ho mai sostenuto posizioni anti-israeliane». Chissà come si troverà nel M5s? E come giudicherà le idee di Beppe Grillo? Le uscite del «garante» del Movimento infatti, sono un inquietante florilegio di pregiudizi e «gaffe» tipicamente affini al pensiero antisemita. Grillo, per esempio, ha difeso il regista Mel Gibson, per il quale «gli ebrei sono responsabili per tutte le guerre nel mondo», ha insultato Rita Levi Montalcini e poi ha affidato a un'intervista al quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth una summa di stereotipi e ossessioni, in cui non manca l'evocazione del Mossad e una rappresentazione agiografica del regime iraniano degli Ayatollah.
E a ben vedere è proprio questo il problema: da una miscela di retaggi terzomondisti e suggestioni qualunquiste, nei 5 Stelle emerge - riveduto e corretto - un eclatante e antico vizio della sinistra: con parole nuove condannano sempre e comunque l'Occidente e le sue democrazie, mentre concedono attenuanti ai suoi nemici, fossero pure fondamentalisti. Al culmine di questo doppio standard, viziato da dilettantismo e reminiscenze ideologiche fuori moda, si arriva al paradosso del novembre 2015, quando il Movimento - che non ha mai fatto economia di parole forti per gli avversari politici - decide di commentare in questi termini la folle strage jihadista di Parigi: «Un terribile attacco che deploriamo con fermezza». Deploriamo. Una drammatica incomprensione o sottovalutazione del fenomeno. «Il terrorismo islamico non esiste» sosteneva appunto il capogruppo Esteri Di Stefano, spiegando che «dietro il nome Stato islamico c'è un'accozzaglia di mercenari che usano la religione per fare proselitismo. Esattamente - diceva - come i generali degli eserciti occidentali che si battono il petto in chiesa ogni domenica e poi massacrano milioni di civili inermi». E se il «terrorismo islamico non esiste» può capitare (a Di Stefano è capitato ad aprile) di partecipare allo stesso evento che ospita un imam che ha esaltato le azioni kamikaze dei bambini. E mentre l'Isis furoreggiava, il terzomondista principe dei grillini, Di Battista, si era incaricato sul blog di riflettere sul «che fare».
E al primo punto, guarda caso, cosa aveva individuato? L'esigenza di «mettere in discussione, una volta per tutte, la leadership nordamericana». Gli Usa - garantiva il Dibba - «hanno portato morte, instabilità e povertà». E intanto «dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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