Coronavirus

L'inganno di "Repubblica" e l'aborto fai-da-te

L'aborto è un dramma ed è un diritto. Nessuno lo nega. Ma la sinistra vuole sfruttare l'emergenza Covid-19 per allungare a nove settimane il periodo in cui è possibile l'interruzione di gravidanza

L'inganno di "Repubblica" e l'aborto fai-da-te

L'aborto è un dramma ed è un diritto. Nessuno lo nega. Ma la sinistra vuole sfruttare l'emergenza Covid-19 per allungare a nove settimane il periodo in cui è possibile l'interruzione di gravidanza e al tempo stesso spingere sull'uso della famigerata Ru486 «a domicilio». È Repubblica a lanciare il sasso: «In Italia abortire è diventato quasi impossibile». E in effetti nonostante il ministero della Salute abbia specificato che l'aborto rientra negli interventi indifferibili, il quotidiano romano racconta la storia di molte donne «vicine alla scadenza delle 12 settimane» che hanno dovuto affrontare lunghi viaggi «da Torino alla clinica Sant'Anna di Caserta», dove si è passati in poche settimane da 120 a 160 aborti al mese. Da qui l'appello: sì all'aborto «a domicilio», con una pillola abortiva al posto della mammana. Chi conosce veramente la legge 194 sa che questo sarebbe un enorme salto all'indietro anche rispetto allo spirito della stessa legge, ma Repubblica e i firmatari dell'appello al ministro della Salute Roberto Speranza (i soliti Roberto Saviano, Laura Boldrini, Valeria Fedeli, Livia Turco, Marco Cappato eccetera) sostengono il contrario, facendosene unici e infallibili interpreti. È di questi giorni anche la richiesta di un centinaio di Ong come Amnesty International e Human Right Watch di garantire l'aborto nonostante la pandemia come servizio «essenziale», soprattutto per «donne che vivono in povertà, disabili, rom, migranti senza documenti, adolescenti, transessuali, donne a rischio e le sopravvissute ad abusi domestici e violenze». È abbagliante quanto questo appello strida con la realtà che stiamo vivendo. Mentre migliaia di donne e uomini negli ospedali fanno di tutto per strappare vite umane dalla voracità del Covid-19, mettendo a repentaglio la propria salute, gli affetti e la vita privata, in qualche caso per pochi spiccioli come gli infermieri (lo abbiamo documentato ieri, la loro indennità «malattie infettive» è di 5 euro lordi al giorno), Repubblica e la sinistra ritornano con i loro macabri appelli. Non è in discussione il diritto della donna a non volere una gravidanza che ne mette a rischio la salute. Qui si tratta di considerare una vita umana come un virus, da sconfiggere con una medicina, che tra l'altro funziona nel 95% dei casi, provoca crampi, nausea, vomito e diarrea, non è esente da rischi anche a distanza di giorni e che «non è un farmaco da utilizzare a casa, lontano dal controllo medico». Lo scriveva Repubblica nel 2009, quando la Ru486 è stata autorizzata. Mente allora o oggi? A nove settimane il feto ha occhi, orecchie, gambe, braccia e bocca, dita di mani e piedi visibili e sistema nervoso. È una vita, non una malattia.

E se, anziché una pillola, queste ragazze - umiliate, sole, forse neanche troppo informate - volessero solo parlare con qualcuno per capire come decidere tra il proprio egoismo e la voglia di vita che bussa dal ventre, come racconta oggi al Giornale (nella cronaca di Milano) una volontaria della Mangiagalli? Mai come in questi giorni abbiamo capito quanto vale una sola, singola, vita che si aggrappa alla speranza.

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