
Il Pd manda un pizzino ai giudici - "troppo fiacchi contro il governo Meloni" e spinge per l'assalto giudiziario. Sotto gli ombrelloni (area centrodestra), si rafforza il sospetto che un'offensiva giudiziaria (come ai tempi di Berlusconi) contro l'esecutivo sia ormai alle porte. Questioni di settimane, prima del big bang. Il conto alla rovescia è iniziato. L'autunno caldo per Meloni e i suoi ministri porterebbe direttamente lì: allo scontro con le toghe politicizzate. Un assalto che si concretizzerebbe in piena campagna elettorale per le regionali, un appuntamento chiave per il centrodestra, e alla vigilia della penultima legge di bilancio targata Meloni. Ma soprattutto, tra le voci del centrodestra, c'è una certezza granitica: le inchieste su Ricci e Sala, che quindi colpiscono politici di sinistra, sono operazioni di depistaggio. Che coprono il vero obiettivo: l'affondo finale della magistratura contro il governo Meloni. I timori del governo, stavolta, non nascono dalla solita narrazione sulle toghe rosse contro le maggioranze di centrodestra. Gli indizi sono chiarissimi. A Palazzo Chigi non è sfuggita l'intervista rilasciata il 9 agosto scorso dall'ex ministro della Giustizia Pd Andrea Orlando a Carmelo Caruso del Foglio. Orlando attacca, parla del caso Almasri, della separazione delle carriere. Ma non è questo il punto. Meloni, Nordio e Mantovano sono letteralmente saltati sulla sedia quando hanno letto la risposta che l'ex Guardasigilli dà al cronista, parlando del rapporto tra governo e giudici: "Oggi non c'è una risposta omogenea da parte della magistratura, non siamo ai tempi di Berlusconi. Una parte (della magistratura) reagisce con i soliti richiami alla Costituzione, tra l'altro fiacchi. Ma un'altra mi sembra che cerchi buone relazioni con l'esecutivo. Rispetto al passato noto maggior attenzione e tutela" dice Orlando. "Parole fanno filtrare gli esponenti della maggioranza che sono al limite dell'eversione giudiziaria". Tradotto: un ex ministro della Giustizia con un'intervista incalza le toghe a rompere ogni indugio e andare fino in fondo contro l'esecutivo. C'è un secondo motivo di preoccupazione che assale il centrodestra. Il pizzino viene spedito da Andrea Orlando. Perché proprio lui? È stato due volte ministro della Giustizia. Già questo basterebbe a dare peso all'appello. C'è però un episodio che ritorna di fondamentale importanza e che consente di leggere in modo giusto le parole di Orlando. Bisogna fare un salto indietro nel 2014. Matteo Renzi è il premier incaricato. Per la guida del ministero della Giustizia il rottamatore sceglie Nicola Gratteri, oggi a capo della Procura di Napoli. Nessun mistero, storia raccontata sia da Renzi che da Palamara nei libri. L'eventuale nomina di Gratteri al ministero della Giustizia manda in fibrillazione la corrente di sinistra delle toghe. Parte la moral suasion sul Colle. L'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano blocca la nomina di Gratteri (anche questa è storia nota). E la scelta ricade su Andrea Orlando che, al contrario di Gratteri, dava ampie garanzie e rassicurazioni alla magistratura militante di sinistra. Quello di Orlando è il secondo pizzino che arriva dal fronte Pd ai giudici. Il primo è datato 25 luglio. Siamo a Palazzo Madama.
In Aula, si sta approvando la riforma Nordio sulla separazione delle carriere, prende la parola Dario Franceschini (l'ispiratore dell'elezione di Elly Schlein alla guida del partito) e lancia un messaggio ai giudici: "Il Pd è con voi e contrasterà con ogni mezzo, senza esitazione, la riforma".