«L'ira è pericolosa e perfino fatale Perché ci rende delle belve»

L'alpinista e scrittore dal carattere indomabile: «Nelle scuole bisognerebbe insegnare ai ragazzi a dominare gli impulsi»

Stefania Vitulli

Difficile definire Mauro Corona. Scrittore, scultore e alpinista sono le tre identità che troviamo da tempo accanto al suo nome, ma i quattro milioni e mezzo di copie vendute in 27 libri e la sua immagine pubblica non riescono ad afferrare eclettismo, imprevedibilità e corrente di energia incontenibili in ogni suo intervento. All'autore di Aspro e dolce, La fine del mondo storto, La voce degli uomini freddi (tutti Mondadori) e Quasi niente (Chiarelettere) si ascrivono aneddoti di ogni sorta e altrettanti ne racconta lui, che come ogni uomo di montagna sa che le storie possono salvare la vita; tutti percorsi da passioni forti, da un carattere mai piegato. L'ideale per commentare un peccato indomabile come l'ira.

Come cominciamo?

«Con un verso: Cantami, o Diva, del pelide Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei».

Che cos'è questa ira?

«Il prodotto non contenuto dell'essere umano quando non ne può più. Si dovrebbe domare, questa belva, che può provocare danni enormi. E invece, quando il sacco è pieno, non abbiamo la capacità di governarlo, questo impulso che ci rende animali che vorrebbero azzannare, spaccare, annientare».

Impossibile fermarsi?

«Bisognerebbe essere stoici, o samurai. Educati a sopprimere, a soffocare questi istinti che travalicano l'umano. Istinti pericolosi, sempre».

Perché?

«Tutte le tragedie hanno due matrici: quella pianificata - un omicidio, un femminicidio. Poi ci sono le tragedie indotte e create dall'ira: allora prendi una pistola e spara. Bisognerebbe insegnare a fermarsi».

Come?

«Nelle scuole, ai ragazzi. Non si insegna a dominare gli istinti. Non c'è educazione alimentare, c'è poca o nulla educazione sessuale, nessuno fa educazione comportamentale. E invece l'ira è un sentimento fatale».

Per uomini e donne?

«C'è molta differenza: l'ira maschile è violenta e potente, quella femminile pacata eppur e feroce. Leggera, ma come lo è un rasoio».

Un episodio d'ira che non dimentica.

«Una volta eravamo giovani e ubriachi, in tre, e avemmo una discussione che degenerò in rissa. Stavo per soccombere, allora andai a casa, caricai il fucile a pallettoni e stavo per andare a colpirne uno. Sul percorso trovai un vecchio bracconiere, Pietro. Vai a casa, mi disse. Sei ancora in tempo. Altre volte l'ira fu verso mio padre, che mi picchiava da una vita: lo stesi con un pugno».

Ma a volte ha saputo trattenersi.

«Perché ho studiato le discipline della calma. Voglio bene a mia moglie, lo scriva, ma a volte mi ha così umiliato, offeso, deriso, che l'avrei polverizzata. Mi sono trattenuto perché amo la mia famiglia. E perché ho paura della galera».

Che lezione si impara, trattenendo l'ira?

«L'uomo comprende che può dominare i sentimenti e si sente più nobile, meno abietto, meno animale».

L'ira degli altri le fa paura?

«Ho conosciuto gente che per ira ha demolito la casa con la scure, con la motosega: è una manifestazione al limite della follia, esplosiva e imprevedibile. E naturalmente temo l'ira dei potenti: Putin, Trump, Kim Jong-Un. Ma anche i soldati: chi tagliava le teste nella guerra del Kosovo, chi portava gli occhi dei rivali nei catini di smalto. Ogni occhio era un croato, un serbo in meno».

Che cosa scatena più spesso la sua ira?

«L'ipocrisia, la falsità, la recita. La gente che mi vorrebbe morto e mi paga un bicchiere. Diceva Cechov: Un uomo lo puoi migliorare se gli fai vedere com'è. Se però questo non è possibile, comincia a bollirmi l'olio nel motore».

Che cosa la spinge invece a fare pace?

«Io faccio sempre pace se sento il perdono dentro di me, se sento il perdono negli altri. Walter Flex, scrittore austriaco morto durante la prima guerra mondiale e autore di Il viandante tra i due mondi, scrisse: Beato chi senza odio chiude le porte del mondo. Quando mi riappacifico mi sento bene: l'odio è una scoria tremenda, una ruggine che ti corrode».

Che rapporto c'è tra ira e amore?

«Se io e te siamo fidanzati e io voglio da te e tu vorresti da me non dico la felicità, ma la tranquillità il mio obiettivo a 68 anni - quando tu non mi dai questa tranquillità, ma anzi mi tartassi, mi fai il terzo grado, mi tieni sulle spine, allora parto e dico basta. Con la maturità, l'ira sprizza dagli occhi, come una pallottola».

Che cosa direbbe a un iracondo che ce l'ha con lei?

«Scusami. Rifletti. Pensaci, fermati, ti prego. Poi proverei ad abbracciarlo. Con il rischio di beccarmi un destro».

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