Quella lobby dei ministri dem che spinge per l'accordo col M5s

Sfruttano i legami col Colle e lavorano sotto traccia per il sì

Quella lobby dei ministri dem che spinge per l'accordo col M5s

Il compianto Vujadin Boskov avrebbe utilizzato anche per lui la metafora «cervo che esce di foresta». E di sicuro l'intervista di ieri a Repubblica del ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, è una mossa da vecchio democristiano: uscire allo scoperto per mettere nero su bianco una situazione che ormai è nei fatti. Più di mezzo Partito democratico vuole andare al governo con i Cinque stelle e ha lavorato di sponda con il Quirinale per non fare cadere questa ipotesi sotto i bombardamenti renziani.

D'altronde, tra i consiglieri del presidente della Repubblica Sergio Mattarella vi sono molti franceschiniani. A partire dal capo della segreteria Simone Guerrini fino al consigliere segretario Daniele Cabras passando per il consigliere per l'informazione Gianfranco Astori e al portavoce Giovanni Grasso. E che cos'ha infatti ribadito Franceschini ieri? Il Pd garantisce «al presidente della Repubblica il proprio apporto nell'interesse generale», perciò «abbiamo l'obbligo di verificare nei contenuti la possibilità di un'intesa».

Ma non è solo il titolare del dicastero di Via del Collegio Romano ad aver lavorato sotto traccia per un esecutivo con i pentastellati. È stato tutto il cosiddetto «club dei ministri», che ha costruito un ottimo rapporto con il capo dello Stato, a porre giorno dopo giorno un mattoncino per questa ardita costruzione. Non si può trascurare, infatti, il grande lavoro della minoranza guidata dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che sin dalle prime battute ha sferzato i renziani per aprire una trattativa. L'assist l'ha fornito un altro ministro non renziano e siculo come Mattarella. Anna Finocchiaro, titolare dei Rapporti con il Parlamento, ha infatti dirottato alle commissioni speciali di Camera e Senato come primo provvedimento da esaminare proprio la riforma giudiziaria di Orlando. Una mossa «benedetta» da Roberto Fico che ha così creato le precondizioni per un'interlocuzione. Parole che appartengono al secolo scorso, ma che fanno bene intendere come le lancette dell'orologio in questa fase siano state spostate all'indietro.

Il «Club dei ministri» ha anche altri soci eccellenti. In primo luogo, lo stesso reggente Pd ed ex ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, che si è premurato di «scongelare» velocemente (troppo, secondo i renziani) la posizione del partito, tenendo sempre aperto il filo diretto con il Quirinale sempre richiamato. A questo novero bisogna aggiungere la titolare della Difesa, Roberta Pinotti, che è animatrice della fronda femminile (e femminista) dei dem che in questi ultimi giorni ha sparato a palle incatenate contro l'ex premier, reo di aver sottorappresentato le donne nella pattuglia parlamentare. L'argomento, per quanto vetusto, ha riacceso gli animi coalizzando molti malumori contro la guida renziana. Ultimo ma non meno importante, il ministro dell'Interno Marco Minniti che ha continuato a imporsi sulla ribalta mediatica (non ultimo con la concessione della cittadinanza italiana al piccolo Alfie) proponendosi come civil servant, gradito un po' a tutti gli schieramenti.

Sia ben chiaro, il «Club dei ministri» poco avrebbe potuto se non fosse stato in qualche modo sospinto dal Quirinale e se il Luigi Di Maio, pupillo del potente segretario generale Ugo Zampetti, non avesse fallito miseramente la trattativa con il centrodestra ostracizzando (e consentendo di ostracizzare) Forza Italia.

Un epilogo che nessuno ha cercato di evitare lasciando campo libero alle vecchie volpi cresciute a Piazza del Gesù, prima fra tutte l'ex enfant prodige Dario Franceschini che ha saputo muoversi con abilità in questa palude. Aumentando le probabilità per tutto il Club di mantenere la poltrona.

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