La strategia del "mondo libero" ​complice del Califfo

Il cosiddetto "mondo libero" vuole impaludare gli islamici in conflitti intestini e spianare la strada agli affari. Ma la guerra è già a casa nostra

Abu Bakr Al Baghdadi, in una rara immagine che lo ritrae in moschea a Mosul
Abu Bakr Al Baghdadi, in una rara immagine che lo ritrae in moschea a Mosul

Bisogna essere una mente fine, come è il caso del nostro ministro degli Esteri Gentiloni, per dire che «il governo italiano è preoccupato» e che, probabilmente, nell'incontro programmato per il 2 giugno a Parigi della Coalizione internazionale anti-Isis «sarà fondamentale una verifica della strategia che portiamo avanti». Possibile che se muoiono circa 900 clandestini per il ribaltamento di un barcone, in 24 ore si mobilita il mondo intero in un clima da stato d'emergenza, mentre se i terroristi islamici dello «Stato islamico» dell'Isis travolgono contemporaneamente gli eserciti iracheno e siriano, nonostante le incursioni aeree alleate, portandosi a meno di 100 chilometri da Bagdad e a 200 da Damasco, si annuncia che tra ben 10 giorni ci sarà una riunione dei ministri degli Esteri della Coalizione?

La verità è che il cosiddetto «mondo libero» che assiste inerte all'espansione dello «Stato islamico», non è ingenuo ma connivente. Gli Stati Uniti, l'Unione Europea, la Turchia e Israele più che subire una situazione che non riuscirebbero a controllare, sono partecipi di una strategia che, convergendo inizialmente sull'obiettivo di rovesciare i regimi di Saddam Hussein e di Bashar al Assad, è culminata nella dissoluzione dei due Stati nazionali multi etnico-confessionali, creando i presupposti per la diffusione di un terremoto geo-politico che destrutturerà il Medio Oriente. Il peccato originale è stata la scelta degli Stati Uniti sia di finanziare e armare i mujahedin afghani e la nascente Al Qaeda di Bin Laden nel decennio 1979-1989, sia di insediare al potere l'ayatollah Khomeini in Iran nel febbraio del 1979. Per ottenere l'esodo delle forze sovietiche da Kabul, si è dato vita alla fucina e al crogiolo del terrorismo islamico sunnita, che ha avuto il suo battesimo di sangue con l'assassinio del presidente egiziano Sadat il 6 ottobre 1981. Per costringere all'esilio lo Scià Reza Pahlevi, si è innescata la miccia della rivoluzione islamica sciita che ha insanguinato l'Iran e scatenato il terrorismo nel mondo. Successivamente, nel 2005, prendendo atto del sostanzialmente fallimento delle guerre scatenate in Afghanistan e in Iraq per vendicare gli attentati dell'11 settembre 2001, Bush e Blair sottoscrissero un accordo con i Fratelli Musulmani offrendo loro una legittimazione politica in cambio dell'aiuto a sconfiggere Al Qaeda. Il risultato è che l'Occidente ha finito per consolidare sia i Fratelli Musulmani sia Al Qaeda. Infine, nel gennaio 2011, soffiando sul fuoco della cosiddetta «Primavera araba», il nostro «mondo libero» ha scatenato la guerra civile in Siria, sostenendo gli islamici compresi i precursori dell'Isis, ha portato al potere i Fratelli Musulmani in Egitto, ha radicato la presenza dei Fratelli Musulmani di Ennahda in Tunisia, ha scatenato la guerra in Libia consegnandola nelle mani di bande terroristiche islamiche. In questo contesto l'affermazione dell'Isis, di Al Qaeda, Al Nusra, Ansar al Sharia e Fajr Libia, non è un frutto avvelenato indesiderato, bensì parte integrante di una folle strategia fondata sul sovvertimento degli stati nazionali laici sorti sulle ceneri dell'ultimo Califfato islamico turco-ottomano.

L'obiettivo, una pia illusione, è di impantanare i terroristi islamici in guerre intestine di logoramento che li obbligherebbero a lasciare in pace il «mondo libero», alimentando il mercato delle armi, abbattendo il costo del greggio, spianando il terreno per il business della ricostruzione, favorendo le mire espansionistiche turche sulla Siria e sull'Iraq. Quando è che capiremo che la guerra del terrorismo islamico è anche dentro casa nostra e che aiutarli si tradurrà nel nostro suicidio?

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