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"L'opera non ha alternative Una follia fermarsi adesso"

L'ex magistrato che indagò sui casi di corruzione: «C'erano reati, la burocrazia ha complicato tutto»

"L'opera non ha alternative Una follia fermarsi adesso"

Sospira: «Pensi che molti erano contrari al Mose e ripetevano: i veneziani indossino gli stivali, come si è fatto per secoli. Tanto le maree eccezionali sono fenomeni rari. Invece...».

Invece?

«Le alluvioni, chiamiamole cosi, si intensificano e sono sempre più vicine nel tempo. Un disastro».

Ma il Mose l'avete fermato voi con la vostra inchiesta?

(Carlo Nordio, uno dei piu' celebri magistrati italiani, oggi in pensione, allarga le braccia)

«Quello è stato un intervento doveroso che ha scoperchiato sprechi da far piangere e un sistema di corruzione capillare, fra i politici, da destra a sinistra, gli imprenditori e pure gli organi di controllo».

Ma l'inchiesta condotta dal pool guidato da Nordio ha rallentato i giganteschi cantieri?

«Il Mose è un'opera unica al mondo e quando sarà terminato diventerà uno straordinario biglietto da visita per l'imprenditoria italiana. Non ci sono alternative, speriamo che entri in azione in fretta».

Non mi ha risposto.

«Noi siamo intervenuti per perseguire dei reati, non per un disegno ideologico sulla città. Certo, gli arresti hanno avuto inevitabili effetti collaterali».

Quali?

«C'è stato il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova, alcune imprese hanno cambiato la governance, lo Stato ha rallentato i pagamenti. Non solo: alcune parti, già pronte da anni, si sono logorate e arrugginite. Conclusione: i costi, già altissimi sia per la costruzione che per la manutenzione, sono lievitati ancora».

Possibile che in Italia ogni opera pubblica si trasformi in un tormentone senza fine?

«Noi siamo fatti così e la burocrazia complica tutto fino all'inverosimile. È successo naturalmente anche a Venezia, come se non ci fossero già problemi a sufficienza».

Come è stato il rapporto con i commissari?

«È un altro passaggio fondamentale di questa storia. I commissari hanno chiesto alla procura di Venezia come comportarsi. Noi abbiamo risposto che non avevamo alcuna intenzione di immischiarci nel loro lavoro o di dare direttive o prescrizioni».

Un modello opposto rispetto all'interventismo dei pm di Taranto?

«L'Ilva inquina, il Mose no. In ogni caso non voglio commentare quel che non conosco se non superficialmente. Però posso aggiungere che come cittadino anch'io attendo il Mose con ansia. Venezia è fragile, sempre più fragile, e non si può andare avanti cosi, all'infinito».

Arriveremo mai alla fine dei lavori?

«Fermarsi adesso a un passo dalla fine sarebbe follia pura, ancora di più con il cambiamento climatico in corsa, ma credo che nessuno possa anche solo concepire una soluzione del genere. Noi magistrati ci siamo limitati a fare la nostra parte: i processi si sono celebrati in fretta e si sono chiusi con molte condanne, molti patteggiamenti, molte ammissioni».

Un'ultima questione: a Taranto lo scudo penale è davvero necessario?

«Certo, nessun manager potrebbe seriamente impegnarsi in quel contesto problematico senza avere la garanzia di non essere risucchiato da qualche indagine.

Lo scudo mi pare una condizione minima per poter andare avanti».

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