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L'ora dell'incontro Biden-Putin. Faccia a faccia ad alta tensione

Oggi summit di Ginevra nella fase peggiore delle relazioni. Sul tavolo dei negoziati Ucraina, cybersecurity, Iran e Cina

L'ora dell'incontro Biden-Putin. Faccia a faccia ad alta tensione

La settecentesca villa La Grange, su una collina con magnifica vista sul lago Lemano, ospita oggi in una cornice di adeguato prestigio l'atteso vertice di Ginevra tra il presidente russo Vladimir Putin e quello americano Joe Biden. Un summit di quattro-cinque ore che si tiene in una delle fasi peggiori da lungo tempo nelle relazioni russo-americane e dal quale al di là delle chiacchiere e degli auspici dei benpensanti non è lecito attendersi molto più che qualche chiarimento tra personaggi fatti per non intendersi.

Dopo tutto, se il potere pressoché assoluto di Putin dura da più di vent'anni e a Mosca tutto è stato predisposto affinché prosegua indisturbato per altri quindici, la presidenza Biden potrebbe invece rimanere una parentesi di un solo quadriennio, complice l'età avanzata del successore di Donald Trump alla Casa Bianca. L'ormai espertissimo (glielo riconosce a denti stretti lo stesso Biden, che lo detesta) autocrate russo non ha dunque particolare interesse a lasciarsi troppo condizionare dalle pretese del leader statunitense, perché ritiene che il tempo giochi dalla sua parte. Poco importa, quindi, a Putin che Biden si presenti a Ginevra forte dell'esplicito sostegno appena raccolto tra gli alleati europei ed atlantici, e fieramente intenzionato a metterlo con le spalle al muro su una lunga serie di temi «caldi».

Putin, che ha già incassato con tranquilla faccia da poker l'etichetta di killer per la questione Navalny, è pronto a sentirsi accusare da Biden anche di comportamenti minacciosi in Ucraina e ai confini orientali della Nato, di esser complice se non mandante degli hacker che tormentano e ricattano le aziende americane, di star costruendo con la Cina, l'Iran e altri soci poco raccomandabili una internazionale anti occidentale aggressiva e irrispettosa dei diritti umani. Verosimilmente, lo lascerà dire, negherà l'evidenza dove gli conviene com'è abituato a fare e, dopo avergli ricordato che la Russia è militarmente abbastanza forte da infischiarsi delle sue linee rosse, gli offrirà disponibilità al dialogo là dove gli interessa. Il che poi significa la ricerca di un minimo di razionalizzazione nelle relazioni bilaterali, precipitate a farsa durante l'amministrazione Trump e oggi talmente negative da essere assimilate a quelle del quarantennio della guerra fredda.

Il fatto che qualche osservatore arrivi al punto di rimpiangere almeno la prevedibilità di quel cupo periodo del Novecento la dice lunga sul bisogno diffuso di ordine e razionalità nelle relazioni internazionali. E questo è ciò che a Ginevra Putin potrebbe offrire a Biden, senza peraltro rinunciare a quel ruolo di antagonista dell'Occidente che ha deciso di ritagliarsi almeno a partire da quel 2008 in cui a Monaco di Baviera denunciò, con un discorso di inattesa durezza, l'insincerità delle profferte d'amicizia americane. Nemici sì, ma in un quadro più razionale in cui muoversi, proprio come ai tempi della guerra fredda. Questo è l'interesse di Putin, che ha bisogno di un nemico occidentale da additare alla parte più nazionalista dei suoi sostenitori almeno quanto agli americani fa gioco una Cina nel ruolo che un tempo fu dell'Urss.

Già, la Cina. A Pechino si sono ben guardati dal restare in silenzio rispetto al vertice. Anzi, mettono in chiaro, nessuno si sogni di mettere zizzania tra Russia e Cina, il cui nascente rapporto d'amicizia è promettente e indissolubile.

Si parla a suocera (Biden) perché nuora intenda: Putin deve continuare a guardare a Est.

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