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L'ora della grande paura per i Matteo boys "Rischiamo il disastro"

I renziani sperano che si voti al più presto: "Un rinvio fa solo il gioco del fronte del No"

L'ora della grande paura per i Matteo boys "Rischiamo il disastro"

«Ma quale rinvio, sarebbe un disastro per noi». Non ha dubbi, l'alto dirigente renziano del Pd: lo spostamento del referendum al prossimo anno a Palazzo Chigi viene visto nel modo più negativo possibile. Un «disastro» per la riforma e i suoi sostenitori: «Non è un caso che, a presentare affannosamente ricorsi su ricorsi per rinviare il voto, siano gli azzeccagarbugli del No, che evidentemente ne temono l'esito».

Sono ore di suspense, perché è attesa la sentenza del tribunale civile di Milano sul ricorso studiato per l'appunto dall'emerito Valerio Onida, che fu brevemente presidente della Corte Costituzionale (nell'era in cui la Consulta attuava un frenetico turn-over dei propri presidenti, e i maligni sospettavano lo facesse per ragioni di benefit pensionistici). E che oggi è uno degli alfieri del No.

Il governo, attraverso l'avvocatura di Stato, si è fieramente opposto al tentativo di bloccare la consultazione tramite rinvio alla Consulta per «disomogeneità del quesito». Ma il verdetto è atteso in un clima di fibrillazione. Certo, i precedenti (come la secca bocciatura di un analogo ricorso presentato al Tar del Lazio) dovrebbero indurre all'ottimismo, perché - come spiegano insigni giuristi - la messa in discussione di un voto parlamentare e di una pronuncia della Cassazione per via giudiziaria costituirebbe «un precedente gravissimo». Ma, vista la imperscrutabilità delle pronunce giurisdizionali nel nostro Paese, l'ansia c'è.

Renzi ha già ripetutamente messo una pietra tombale sulle ipotesi di rinvio del referendum avanzate in sede politica dopo il terzo terremoto in Italia centrale. «Una boutade giornalistica, non esiste», ha detto liquidando il suggerimento avanzato dal Pd Pierluigi Castagnetti. E ieri raccontano che il premier fosse doppiamente irritato per il rilancio di Angelino Alfano, che ha immediatamente tacitato: «Nessun rinvio, è un dibattito surreale. Terremoto e referendum non hanno niente a che fare». Il premier è infastidito da quelli che considera solo «assist» al fronte del No: non solo, spiegano i suoi, avallare voci di rinvio fa il gioco delle opposizioni, pronte ad accusare il fronte del Sì di «avere paura». Ma in casa renziana c'è la convinzione che prima si vota meglio è: il trend per il Sì è in costante salita nei sondaggi di Palazzo Chigi e la campagna pro-riforma sta prendendo slancio: «Uno stop sarebbe deleterio per noi».

Ma, secondo alcuni, ad alimentare l'irritazione renziana sarebbe anche il sospetto che una parte del suo stesso schieramento tifi per la dilazione. E c'è chi non nasconde il timore che persino sul Colle più alto, tra i suoi attuali o passati inquilini, si nutra la tentazione di temporeggiare, non solo per «svelenire» il clima politico nell'emergenza sisma, ma anche per la acuta preoccupazione di una situazione che, in caso di vittoria del No e dimissioni del premier, rischia di rivelarsi ingestibile. Il nuovo impennarsi dello spread viene interpretato come un'inquietante avvisaglia di quel che potrebbe abbattersi sull'Italia in caso di sconfitta renziana. Sospetti alimentati dal fatto che, a farsi portavoce del tentativo di congelare il voto siano stati personaggi molto vicini a Sergio Mattarella, come Castagnetti, o assai sensibili agli umori quirinalizi, come Alfano. Senza contare, continuano i malpensanti, che la gabola per forzare il rinvio è stata congegnata da un ex «saggio» nominato da Giorgio Napolitano come Valerio Onida. Renzi fa muro: «Tra un mese si vota».

Intanto la minoranza bersaniana si accoda al fronte del No, con lo stesso ex segretario e mancato premier che annuncia manifestazioni contro la riforma da lui stesso (per tre volte) votata in Parlamento.

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