L'sms delle 17.53: "Il Conte ter è morto"

Veleni. Se c'è un ingrediente che non è mancato in queste settimane è l'arsenico dei Palazzi, Roma si è trasformata in Bisanzio

L'sms delle 17.53: "Il Conte ter è morto"

Veleni. Se c'è un ingrediente che non è mancato in queste settimane è l'arsenico dei Palazzi, Roma si è trasformata in Bisanzio. Di mail ne sono circolate tante che descrivevano supposte operazioni di uomini di Palazzo Chigi contro l'immagine di Matteo Renzi agli inizi di dicembre. Roccobello Casalino, il portavoce del premier, ha smentito categoricamente di esserne l'autore, ma quei fogli, veri o falsi che siano, sono circolati a dimostrazione di uno scontro cruento che ha avvelenato i pozzi non solo della politica ma pure delle istituzioni: lo scontro sui servizi segreti di un mese fa ne è stato la premessa. Di più: altre strane missive di cui non si conosce l'origine, sempre false o vere che siano, hanno tirato in ballo in questo periodo altre personalità politiche e questo mentre lo scenario internazionale negli ultimi due mesi è cambiato profondamente. «La verità ammette Enrico Borghi, esponente piddino del comitato parlamentare per il controllo dei servizi segreti è che noi siamo deboli rispetto all'estero anche come sistema Paese. E allora, si può fare un governo come il Conte ter che nasce già così fragile in una situazione così drammatica? Qui l'unica ipotesi che può salvare il sistema dei partiti, a sinistra come a destra, è una soluzione alta».

Veleni. Anche una trattativa può essere avvelenata. Se uno ti fa uscire dalla porta un ministro contestato come Alfonso Bonafede e poi lo fai rientrare dalla finestra come vicepremier in coppia con il piddino Andrea Orlando, allora significa che tu sul dialogo spargi il cianuro: è quello che hanno fatto i grillini. Se poi offri ai renziani tre ministeri, magari importanti come il Welfare, i Trasporti e l'Agricoltura o la Difesa, ma poi poni veti su ministri come la Bellanova o la Boschi («io faccio un passo di lato ha detto l'interessata per non passare come il motivo di una possibile rottura») e ti tieni da conto l'Azzolina che come ministro dell'Istruzione ha fatto solo guai, o ancora quel commissario Arcuri che sulle mascherine ha fatto ricche le tasche dei cinesi, vuol dire che passi diserbante sul prato su cui dovrebbe nascere il governo. Per non parlare del programma: se chiedi, come hanno fatto i 5stelle, cose impossibili come la nazionalizzazione delle banche e poni «no» pregiudiziali sulla Torino-Lione, sulla prescrizione, e sul Mes, anche se si trattasse solo di prendere un paio di miliardi, vuol dire che vuoi l'umiliazione dei tuoi interlocutori. Anche questi sono veleni. Veleni politici, ma pur sempre veleni.

Così non c'è da meravigliarsi se alle 17:53 di ieri pomeriggio il telefono di Matteo Renzi trasmette in varie direzioni un sms dal tono definitivo, funebre: «Questa sera il Conte Ter è morto». Corredato da un altro che ne è il corollario per quanto riguarda le motivazioni: «Differenze importanti sul programma e assenza di una vera discontinuità con il Conte bis». E da un altro ancora da cui traspare l'arrabbiatura di chi si sente prese in giro: «Io questi li mando a sbattere».

Sono frasi che chiudono il primo tempo della narrazione di questa strana crisi, in cui la politica tra veleni, veti, e minacce ha dato il peggio di sé. Da quelle 17 e 53 si aggiungono altri segnali che confermano come il Conte Ter sia davvero morto. Se fai presente, ad esempio, a Pierluigi Castagnetti, ex dc e padre putativo di molti piddini oltreché frequentatore abituale del Quirinale, che forse sarebbe il caso di lasciar perdere questa pantomima e tentare un governo di larghe intese, ti arriva un altro sms: «È il mio stesso pensiero».

Ed ancora c'è la notizia di Emilio Carelli, fedelissimo di Giggino Di Maio che lascia i 5stelle schifato dalla compravendita dei senatori e resiste anche alle ultime avances di Conte. Se ne va deluso, per mettere in piedi un'area moderata con altri ex grillini che non ne possono più (ci dovrebbero essere anche due senatori), inneggiando alle larghe intese, a Draghi e al governo dei migliori. Infine c'è una coincidenza che somiglia tanto alla prova del nove, che riguarda la precisione chirurgica con cui gli aspiranti scrittori che albergavano nel Conte bis sbagliano l'uscita dei loro libri: il ministro della Sanità Speranza ritirò dal commercio la sua fatica letteraria quando si accorse che la pandemia, che dava per debellata, era solo agli inizi; Roccobello Casalino, invece, ha chiesto alla casa editrice di sospendere la pubblicazione del suo lavoro, in cui appare seduto su una poltrona come Kevin Spacey sulla locandina di House of Cards, perché rischiava di entrare nelle librerie proprio il giorno in cui lui potrebbe traslocare da Palazzo Chigi.

E ora? Mattarella non ha perso tempo, tramontato definitivamente il Conte Ter, il Quirinale ha puntato sul governo delle larghe intese e su Mario Draghi, il governo dei migliori come lo ha ribattezzato il Cav con cui il capo dello Stato avrebbe avuto un colloquio ieri sera prima di mettere in pista l'ex presidente della Bce. Ieri Mattarella ha corredato il nome di Draghi con un appello alla «responsabilità» verso tutte le forze politiche, visto che alle elezioni ha rimarcato - non si può andare. Di fatto ha coronato il sogno di Matteo Renzi: «Se c'è un governo Draghi ha sempre detto il leader di Iv sarebbe un trionfo per me, vincerei fuori casa tre a zero». Del resto ieri mattina il leader di Italia aveva già sperato in una presa di posizione pubblica di Salvini sull'ipotesi di un esecutivo di questo tipo. «Se Salvini dice entro le 16 raccontava che su Draghi potrebbe astenersi, domani Mattarella potrebbe dare l'incarico a Draghi. E se Draghi scende in campo voglio vedere cosa faranno Pd e 5stelle. Non possono sottrarsi o dovranno spiegare il perché». Nulla, però, almeno ufficialmente, è arrivato da Salvini. Ai governatori del Nord e agli industriali che avevano tentato di convincerlo il leader della Lega, infatti, aveva fatto questo ragionamento: «Non mi muovo fino a quando Renzi non esce allo scoperto. Già, una volta mi sono fidato di uno del Pd, Zingaretti, che mi aveva promesso le elezioni e ci ho rimesso le penne. E per ora io non vedo soluzioni. Se faccio un passo avanti e non si fa nulla e si va alle elezioni, rischio di pagarla in favore di quella lì». «Quella lì», ovviamente, è la Meloni: ma può Salvini esercitare la sua leadership sul centrodestra se deve stare sempre appresso a «quella lì»? Eppoi «quella lì», più furba, ha subito lanciato un segnale di disponibilità verso il Quirinale.

Inoltre Salvini deve tenere conto di un dato: nella Lega sale la voglia di sedersi al tavolo. «Un governo tecnico confida Luca Paolini sarebbe la cosa migliore. Almeno potremmo dire la nostra sulla legge elettorale ed evitare il proporzionale che serve solo a mettercelo in quel posto». Senza contare che Forza Italia o una parte di essa, a cominciare dalla Carfagna, è pronta alle larghe intese al costo di smarcarsi dal resto del centrodestra. «La questione è semplice osservava ieri pomeriggio Pierantonio Zanettin, deputato veneto azzurro -: i partiti sono morti. C'è chi pensa solo alla propria rielezione. Ma se Mattarella calasse la proposta dall'alto, facendo un appello alla responsabilità di tutti, noi non potremmo sottrarci».

È quello che il Capo dello Stato ha fatto ieri. Ecco perché il Salvini che ieri chiedeva le elezioni, era lo stesso che all'ora di pranzo ci ha tenuto ad alzare il telefono per chiamare Mario Draghi. Solo un messaggio di attenzione o una premonizione?

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