L'Ue si spacca sulle sanzioni. Orbán: "Una bomba atomica". E la propaganda russa lo loda

La decisione slitta ancora. L’irritazione di Borrell: "I Paesi dicono che sono d’accordo poi chiedono altro in cambio dello stop"

L'Ue si spacca sulle sanzioni. Orbán: "Una bomba atomica". E la propaganda russa lo loda

Si complica la battaglia delle sanzioni energetiche europee contro la Russia. Per il secondo giorno la riunione dedicata alla ricerca di un compromesso tra i Ventisette per arrivare allo stop all'import di petrolio russo si è conclusa con un nulla di fatto e con l'annuncio di un rinvio.

«Putin muove l'esercito, noi l'economia», aveva detto Ursula von der Leyen, ma stava sottovalutando la volontà politica (si potrebbe meglio dire: quella di remare contro) espressa soprattutto dall'Ungheria di Viktor Orbàn, le cui simpatie nei confronti di Putin sono notorie almeno quanto la sua volontà di trarre il massimo vantaggio da un braccio di ferro con Bruxelles prima di concedere il suo sì. Perché il punto, inutile girarci attorno, è questo: è certo vero che l'Ungheria, come e più di altri Paesi europei dell'Est, è fortemente dipendente dagli idrocarburi russi, ma è ancor più vero che, di fronte alla massima disponibilità espressa da Bruxelles per ottenere la partecipazione ungherese alle sanzioni contro Mosca, Orbàn continua a mettersi di traverso. E i sospetti sulla natura delle sue scelte diventano quasi certezze nel momento in cui dalla Russia arrivano commenti soddisfatti e sarcastici, con tanto di invito a staccarsi dall'alleanza con gli Stati Uniti e a distruggere l'unità europea. Fedele al suo stile di sovranista battagliero, Orbàn ha attaccato il significato stesso delle sanzioni europee. «Fanno più danni all'Unione che a Mosca, sono una bomba atomica che vogliono sganciare sull'economia ungherese ha detto il premier di Budapest -. Ogni Paese ha il diritto sovrano di determinare la propria bilancia energetica, ero pronto a concordare sui primi cinque pacchetti di sanzioni Ue, ma fin dall'inizio ho detto che il settore energetico è per noi una linea rossa». A nulla è valsa l'offerta di una deroga di due anni per l'embargo al petrolio russo fatta non solo all'Ungheria, ma anche ad altri Paesi con problemi simili, quali la Slovacchia e la Repubblica Ceca (e ai quali potrebbe aggiungersi la Croazia). A fine giornata, pur sostenendo l'assenza di difficoltà politiche a fronte di «questioni materiali da affrontare» quali la durata delle deroghe e l'entità delle compensazioni, è stato annunciato che i rappresentanti permanenti dei Ventisette torneranno a riunirsi nel fine settimana. Ed è arrivato il commento irritato del ministro degli Esteri della Ue, Josep Borrell: «Cominciano col dire che sono d'accordo e poi chiedono qualcos'altro in cambio del blocco del petrolio: non è così che si lavora». La difficile giornata di ieri ha evidenziato anche altre criticità. La Grecia, ad esempio, lamenta il blocco imposto ai suoi mercantili, Cipro le difficoltà frapposte ai suoi floridi (e opachi) rapporti finanziari con Mosca. Inevitabile che il continuo porre problemi da parte di Paesi che sanno di poter esercitare ogni volta un diritto di veto di fatto porterà presto o tardi alla ribalta la questione del principio di unanimità tra i Ventisette, che appare sempre meno sensato e soprattutto sostenibile in certe circostanze.

Su tutto questo la propaganda di Mosca getta benzina. L'ex presidente russo Dmitry Medvedev ha lodato Orbàn e il suo «passo coraggioso in un'Europa senza voce». «I leader europei più ragionevoli ha aggiunto sono stanchi di seguire la dannosa politica guidata dagli Usa».

Il presidente del Parlamento russo Viaceslav Volodin ha rincarato la dose: «Se gli Stati che oggi sono membri dell'Ue vogliono preservare la loro sovranità e sostenere gli interessi dei loro cittadini hanno una sola opzione: uscire dall'Unione». È il vero progetto di Putin: spaccare l'Europa per sostituirsi agli Usa in un'alleanza egemonizzata da Mosca.

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