Luigi Di Maio è il candidato in pectore alla presidenza del consiglio per il M5S. I malumori della base evidenziano la pochezza della competizione: gli altri candidati alle primarie grilline non hanno alcuna possibilità di mettere in discussione la vittoria del vicepresidente della Camera. A meno di sorprese. E così, le pagine dei giornali, vengono riempite da informazioni biografiche riguardanti l'unico big grillino presente nella lista degli 8 aspiranti a Palazzo Chigi. Un leader calato dall'alto, più che dal basso della partecipazione. Luigi Di Maio, del resto, secondo quanto previsto dal nuovo regolamento, non rappresenterà i cinquestelle solo nella contesa elettorale, ma sarà anche insignito del compito di guidare la leadership del partito. Un astro nascente, la sesta stella. Con buona pace di quelli che desideravano un confronto serrato Di Maio/Di Battista. O magari un congresso. Uno vale uno, ma Di Maio vale tutti.
"Mi candido nel Movimento Pomigliano 5 Stelle, perché sono convinto che comunque andranno queste elezioni, farò parte di un gruppo, un network, in cui tutti decideranno egualmente rispetto alle iniziative da mettere in cantiere...", esordì così Luigi Di Maio, quando l'8 marzo del 2010, lanciò su Youtube il suo primo video elettorale a 5 stelle: prese 59 preferenze e non venne eletto. Probabilmente ignaro che poi, a decidere sulle sorti del grillismo, sarebbe stato un gruppo ristretto: un piccolo insieme in cui avrebbe svolto il ruolo di "terminale". Nelle "parlamentarie" successive, Di Maio prese 189 preferenze online, divenne deputato e, il 21 marzo del 2013, venne eletto vicepresidente della Camera dei deputati. Ma se un percorso politico del genere, così povero di consensi effettivi, ha accomunato molti degli esponenti grillini, è un'altra la caratteristica per cui il candidato del M5S si è distinto in questi anni: le gaffe.
"E c’e’anche un certo Boneschi che dopo un giorno in parlamento prende 3108 euro al mese", disse Di Maio citando il caso di un ex parlamentare cui spettava comunque il vitalizio. Peccato che Boneschi, ex segretario dei Radicali, fosse morto. Dimessosi poco dopo l'elezione, al fine di rinunciare all'immunità parlamentare. Celebre, poi, il posizionamento di Pinochet in Venezuela: in un post pubblicato su Facebook, riguardante il referendum costituzionale, Di Maio scrisse che Renzi: "lo sta facendo diventare un voto su questo personaggio, che ha occupato con arroganza la cosa pubblica, come ai tempi di Pinochet in Venezuela. E sappiamo come è finita". Il post fu corretto, ma rimase impresso nella memoria del web. Pinochet, ovviamente, era sì un dittatore, ma cileno. Qualche altra lacuna storico-geografica, venne fuori quando l'adesso candidato alla presidenza del consiglio, dichiarò rispetto la spinosa situazione libica: "I Paesi occidentali che hanno interessi petroliferi nel Paese non sono credibili per mettere insieme le tribù e le varie comunità locali. Noi proponiamo una conferenza di pace che coinvolga i sindaci e le tribù, mediata da paesi senza interessi, tipo quelli sudamericani di Alba". L'alleanza cui si riferisce Di Maio, è quella bolivariana promossa da Venezuela e Cuba. La nazione guidata da Maduro è membro attivo dell'Opec, l'organizzazione dei paesi esportatori di petrolio. Difficile, quindi, ipotizzare che non abbia interessi in materia. Sorvolando sulla proposta di far mediare un conflitto tribale da un dittatore comunista: roba da Civilization, ma Di Maio si sa, viene dal web e magari anche dai giochi di strategia.
Fu così, inoltre, che il sociologo Luciano Gallino, divenne lo "psicologo Gallini". Il 15 maggio del 2014, ancora, affermò in diretta televisiva: "Il Pd non ha imparato, visto che hanno candidato alle europee imputati e indagati, personaggi come Soru, indagato per riciclaggio: andava a portare i soldi nei paradisi off shore, secondo le accuse". "Ho dato mandato ai miei legali di sporgere querela per diffamazione nei confronti del vice presidente della Camera Luigi Di Maio che durante la trasmissione "8 e 1/2" ha detto che sarei indagato per aver trasferito capitali in paradisi fiscali", fece sapere il numero uno di Tiscali mediante una nota. Di Maio chiese scusa, sostenendo, in sintesi, di aver confuso il riciclaggio con l'aggiotaggio. Peccato che neppure la seconda fattispecie riguardasse la sfera giuridica di Soru, almeno secondo il leader sardo coinvolto, che sottolineò come il grillino avesse, in questo modo, rinnovato "la diffamazione". Ma Di Maio, ormai, si era lanciato e il 21 luglio 2016, nel presentare su Facebook uno studio promosso dal M5S, parlò di lobby citando quella dei "malati di cancro". Tentò, quindi, di mettere una toppa sostenendo che la lobby in questione fosse portatrice di "interessi positivi". E sempre tramite un post sul social network di Zuckerberg, l'ormai leader grillino, divenne protagonista di uno spettacolare scivolone sulla consecutio temporum: il 13 gennaio del 2017, sbagliò per tre volte consecutive l'uso del congiuntivo. Una volta su Facebook e due volte su Twitter. E in un comizio per le amministrative del 2017, Canosa di Puglia divenne "Canosa di Bari".
Luigi Di Maio, però, è stato anche l'ospite di un evento ad Harvard. Criticato dai ricercatori per il fatto di non avere la laurea, il vicepresidente della Camera, nel suo intervento, si concentrò molto sulla bontà della "democrazia diretta": il metodo utilizzato, appunto, dal Movimento 5 Stelle ai fini della partecipazione. Prese queste posizioni quando la sua candidatura a Pdc era solamente sussurrata.
Oggi, che è l'unico candidato tra i grillini esposti mediaticamente, quindi il più lanciato verso la vittoria, la sua ode alla democrazia diretta appare a molti fuori luogo. La gaffe peggiore? Le altre, in fin dei conti, restano nelle memorie dei giornalisti e sul web. Questa, forse, interessa milioni di italiani che ad una partecipazione reale avevano creduto davvero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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