L'ultima bugia di Gualtieri: l'Iva non sale

Il ministro non esclude una rimodulazione: "Ma non per fare cassa"

L'ultima bugia di Gualtieri: l'Iva non sale

Spazi di manovra inesistenti. Il governo, più che mettere in agenda una cura adeguata all'emergenza crescita, cerca il modo di uscire quasi indenne da quello che, dalle parti del ministero dell'Economia, ancora si spera sia un incidente di percorso prima dell'inizio di una (timida) ripresa. Chi cerca di mettere in campo una qualche ricetta per ridare fiato all'industria, lo ha fatto il ministro allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli, viene subito bloccato da via XX settembre.

Non ci sono soldi per l'emergenza Coronavirus, non è in vista nessuna politica di sostegno alla produzione in picchiata. Il taglio del cuneo fiscale è quello già approvato e non incide sul costo del lavoro.

Resta in campo la riforma fiscale, con più di una ambiguità. Nei giorni scorsi, sempre dal ministero dell'Economia, era trapelata l'indiscrezione di un passaggio di alcune categorie merceologiche dall'aliquota intermedia dell'Iva al 10% a quella ordinaria, al 22%. Principali indiziati ristorazione e turismo. Voci subito smentite dallo staff del ministro Roberto Gualtieri.

Lo stesso che però ieri non ha escluso una «rimodulazione» dell'Iva. Gualtieri, parlando ad Omnibus, ha assicurato che anche nel 2021 saranno «disattivate» le clausole di salvaguardia che prevedono un aumento dell'imposta su beni e servizi. «Ci può essere qualche rimodulazione in qualche settore, ma non è nostra intenzione fare cassa», ha assicurato. Quindi il governo dovrà trovare 20 miliardi di euro per evitare gli aumenti. E poi dovrà finanziare la riforma dell'Irpef, che al momento è il cardine su cui si basa il rilancio del sempre più fragile esecutivo Conte II.

Per fare una riforma dell'imposta sui redditi percepibile, la spesa supererebbe i primi 10 miliardi di euro. Il conto della prossima manovra è quindi già oltre 30 miliardi e mancano ancora otto mesi alla legge di Bilancio.

Se il governo dovesse cadere e dovesse insediarsi un esecutivo tecnico, facile che il tutto si traduca in nuove tasse. Che comunque non sono estranee al Dna del governo Pd-Cinque stelle-Leu.

Ieri sono uscite le bozze dell'annunciata stretta sugli affitti turistici annunciata dal ministro della Cultura, Dario Franceschini. Prevede che se si hanno a disposizione più di tre immobili destinati ad affitti brevi l'attività sarà considerata imprenditoriale. Quindi niente cedolare secca. Norma inefficace, ha denunciato Confedilizia, che ha invece salutato con favore un emendamento al Milleproroghe che prevede l'estensione della cedolare secca sui canoni concordati al 10% ai comuni terremotati.

Sempre sul Milleproroghe, polemiche per un emendamento che evita il rischio dissesto per il comune di Napoli, che aveva speso in

anticipo liquidità dello Stato. Un regalo a De Magistris per le opposizioni. Il viceministro all'Economia Laura Castelli ha invece rivendicato un emendamento che stanzia 80 milioni per Roma. Città amministrata da Virgina Raggi.

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